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Trump, insulto sessista a reporter: “Zitta, porcellina”

- di: Bruno Legni
 
Trump, insulto sessista a reporter: “Zitta, porcellina”
Trump, insulto sessista a reporter: “Quiet, piggy”

Lo scambio a bordo dell’Air Force One accende il dibattito sulla violenza verbale nei confronti delle giornaliste.

Una scena che ha il sapore di un deja-vu: il Donald Trump si rivolge in modo brusco e offensivo a una giornalista donna durante un momento ufficiale, rilanciando il tema della condotta del presidente nei confronti dei media femminili.

Il confronto a bordo del velivolo presidenziale

Venerdì scorso, mentre a bordo dell’aereo presidenziale Air Force One una corrispondente della testata Bloomberg News stava ponendo una domanda sul caso Jeffrey Epstein e sui file recentemente resi pubblici riguardanti le sue comunicazioni, Trump ha interrotto bruscamente l’interlocutrice ed ha puntato il dito verso di lei pronunciando l’insulto «Quiet, piggy» (zitta, porcellina). L’episodio è stato ampiamente riportato dalla stampa internazionale (tra cui The Guardian del 18 novembre 2025) e confermato da diverse fonti.

La giornalista colpita dall’insulto è la corrispondente alla Casa Bianca per Bloomberg, Catherine Lucey. L’argomento era la possibile presenza di contenuti incriminanti nei documenti di Epstein, che da tempo sollevano domande su personaggi politici e relazioni di potere.

Una strategia che non convince

L’episodio ha suscitato reazioni immediate e dure: il mondo del giornalismo statunitense, compresi volti come Jake Tapper e Gretchen Carlson, ha definito l’intervento del presidente «disgustoso e del tutto inaccettabile»..

Da parte sua, la Casa Bianca ha cercato di difendere l’operato del presidente: un portavoce ha dichiarato che la giornalista «si è comportata in modo inappropriato e non professionale verso i colleghi sull’aereo», aggiungendo che «se dai domande devi saperle anche accettare». Non è emersa alcuna documentazione che provasse tale comportamento.

Contesto: il dossier Epstein e la pressione sul presidente

La tensione è esplosa in un momento critico per Trump: il Congresso degli Stati Uniti sta per votare sulla pubblicazione integrale dei file relativi a Jeffrey Epstein, il finanziere condannato per abusi sessuali e traffico di minori, morto in carcere nel 2019.

Chiedere conto al presidente della propria eventuale conoscenza o coinvolgimento nell’ambito di quel dossier rappresentava una domanda spinosa. La reazione – l’interruzione violenta e l’insulto – ha dunque assunto anche una valenza politica: più che una semplice risposta irritata, è sembrata un segnale di nervosismo sul fronte delle pressioni a Washington.

Il profilo del bersaglio: giornaliste nel mirino

Non è la prima volta che Trump utilizza un linguaggio duro nei confronti di donne giornaliste. Già in passato aveva immortalato espressioni offensive e commenti sessisti, in particolare rivolti contro giornaliste che osavano metterlo in difficoltà.

In questa occasione, la scelta del termine «piggy» – richiamando implicazioni derisorie sull’aspetto fisico o sulla dignità – amplifica la gravità del gesto. Non si trattava di una semplice battuta ma di una modalità di silenziare una domanda. Il messaggio inviato non è solo: «fermati» ma «stai zitta». Questo è ciò che molti osservatori hanno sottolineato come particolarmente preoccupante.

Libertà di stampa, dignità e leadership

Il presidente di un Paese dovrebbe incarnare norme di decoro e rispetto, anche – e forse soprattutto – nei confronti di chi esercita la funzione di controllo. L’attacco verbale nei confronti di una giornalista fa sorgere interrogativi su più livelli: dal rispetto della libertà di stampa all’atteggiamento verso le donne nella sfera pubblica. Nel commento di una collega: «Il presidente dovrebbe essere il leader morale del Paese, e invece appare come un teppista da marciapiede».

Quando la libertà di porre domande viene fronteggiata con insulti personali, l’equilibrio democratico rischia di incrinarsi. Non è solo la domanda che viene bloccata, è l’intera funzione del giornalismo che viene minata. E il fatto che accada alla Casa Bianca, a bordo del velivolo presidenziale, non è un dettaglio secondario.

Conclusione: un segnale che va oltre l’insulto

Il caso ha tutti gli elementi per restare come una pietra miliare nella percezione che molti hanno dei rapporti tra il potere e la stampa negli Stati Uniti: un insulto sessista, una giornalista donna ridotta al silenzio, un presidente che risponde con rabbia invece che trasparenza. L’episodio alimenta la narrativa secondo cui la retorica aggressiva verso i media è centrale nel modus operandi del presidente.

Da oggi in avanti, ogni domanda imbarazzante potrebbe ricevere una battuta aggressiva, o peggio, un insulto. Ma il vero interrogativo è: se è possibile dire “Quiet, piggy” in cabina presidenziale, cosa significa per il resto della società civile? Il segnale inviato travalica la singola giornalista e tocca il tema della dignità delle donne, della libertà dei media e del ruolo della leadership. È un segnale che non può essere ignorato.

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