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Neoporcellum, il ritorno del premio di maggioranza blindato

- di: Jole Rosati
 
Neoporcellum, il ritorno del premio di maggioranza blindato
Neoporcellum, il ritorno del premio di maggioranza blindato
Il centrodestra apre il cantiere di una nuova legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza, addio ai collegi uninominali e soglie da riscrivere. Una mossa che intreccia la partita sul premierato e riaccende lo scontro su rappresentanza e governabilità.

Il cantiere della prossima legge elettorale italiana ha già un soprannome poco rassicurante: neoporcellum. Nelle riunioni riservate del centrodestra prende forma uno schema che archivia i collegi uninominali del Rosatellum e li sostituisce con un proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione vincente, vincolato al superamento di una soglia. Un ritorno al passato, corretto sulla carta dai paletti della Corte costituzionale, ma potenzialmente capace di ridisegnare per anni il sistema politico.

Neoporcellum, cosa c’è nel cantiere del centrodestra

L’idea di fondo è semplice e, al tempo stesso, dirompente: eliminare i collegi uninominali e affidare l’intera partita a collegi plurinominali proporzionali, con un premio di maggioranza assegnato alla coalizione che arriva prima. Il premio scatterebbe solo se la somma dei voti superasse una determinata soglia, indicata nelle simulazioni interne attorno al 40-42 per cento.

Sul tavolo circola anche una versione più sofisticata: un premio “a scaglioni”, che cresce al crescere del consenso. Per esempio, un bonus del 12, 13 o 15 per cento dei seggi se la coalizione supera il 42, il 43 o il 45 per cento dei voti. Meccanismi diversi, stessa logica politica: garantire alla coalizione di governo una maggioranza comoda, riducendo il rischio di Parlamenti appesi e trattative infinite.

A spingere per la riforma sono soprattutto i partiti della maggioranza che oggi governano con numeri consistenti. In pubblico, i protagonisti parlano di “stabilità”. In privato, il ragionamento è più crudo: trasformare un vantaggio relativo in un vantaggio strutturale, rendendo più difficile per un’opposizione unita ribaltare la situazione alla prima occasione utile.

Addio ai collegi uninominali del Rosatellum

Il bersaglio dichiarato è il Rosatellum, la legge con cui si è votato nel 2018 e nel 2022. L’attuale sistema prevede che una quota significativa dei seggi sia assegnata in collegi uninominali: chi prende un voto in più degli altri nel collegio conquista il seggio, mentre il resto dei posti viene distribuito con metodo proporzionale in collegi plurinominali con liste bloccate. Un ibrido maggioritario-proporzionale che, finora, ha premiato soprattutto chi è riuscito a presentarsi più compatto degli avversari.

Nel 2022 il centrodestra ha conquistato la gran parte degli uninominali proprio grazie alla divisione del campo avversario, trasformando un vantaggio di voti relativamente contenuto in una maggioranza parlamentare molto larga. Ma lo scenario è cambiato: le ultime elezioni regionali hanno mostrato che un “campo largo” di opposizione può competere in modo più equilibrato nei collegi. E un sistema che ieri premiava la coalizione di governo, domani potrebbe trasformarsi in una trappola.

Da qui la scelta di azzerare l’elemento più visibile del Rosatellum, i collegi uninominali, per tornare a un impianto prevalentemente proporzionale, con il premio di maggioranza come leva principale di ingegneria politica.

Soglie di sbarramento e piccoli partiti, il gioco delicato dei numeri

Se il premio di maggioranza è il cuore del neoporcellum, le soglie di sbarramento ne sono il sistema circolatorio. Oggi i partiti che corrono in coalizione devono superare un livello di consenso più basso rispetto alle forze che scelgono la corsa in solitaria. L’ipotesi di riforma mette mano anche a questo tassello: si discute se mantenere un doppio regime, favorendo le coalizioni, oppure allineare le soglie, rendendo più agevole la vita a soggetti politici che puntano a correre da soli.

Una soglia più bassa per i partiti non coalizzati renderebbe più praticabile il progetto di forze centriste o liberal-democratiche che da tempo guardano a una corsa autonoma, senza doversi agganciare necessariamente a una delle due grandi aree politiche. Ma ogni decimale in più o in meno sposta seggi, potere di contrattazione, capacità di condizionare il futuro assetto delle alleanze.

Per la maggioranza, il punto è evitare che un eccesso di frammentazione renda vano lo stesso premio di maggioranza. Per le opposizioni, invece, l’obiettivo è non ritrovarsi schiacciate in un sistema dove chi vince prende quasi tutto, mentre le minoranze rischiano di trasformarsi in comparse numericamente irrilevanti, pur con percentuali di voto significative.

Liste bloccate, preferenze e il fantasma del vecchio Porcellum

Il soprannome neoporcellum non è casuale. Richiama la legge Calderoli in vigore dal 2005, che assicurava alla coalizione vincente almeno il 55 per cento dei seggi, anche con percentuali di voto ben lontane dalla maggioranza assoluta. Quel sistema fu duramente criticato e, nel 2014, la Corte costituzionale intervenne con una sentenza che dichiarò illegittimo il premio di maggioranza senza soglia e le liste completamente bloccate, prive di ogni possibilità per l’elettore di esprimere preferenze.

Il nuovo schema prova a muoversi dentro quei paletti: soglie esplicite per far scattare il premio e discussione aperta su come consentire ai cittadini di incidere sui nomi degli eletti. Una parte della maggioranza punta a mantenere i listini bloccati, considerati più gestibili per la selezione dei gruppi parlamentari. Altri, soprattutto nel fronte più moderato, insistono sull’introduzione delle preferenze, almeno in parte: per esempio, un capolista bloccato accompagnato da una rosa di candidati tra cui scegliere.

Dietro le formule tecniche, c’è una domanda politica semplice: chi decide davvero chi entra in Parlamento? I vertici dei partiti o gli elettori? Un ritorno massiccio alle liste chiuse, in un Parlamento già segnato da una consistente riduzione del numero dei seggi, renderebbe ancora più stretto il controllo dei leader sulle candidature, aumenterebbe il potere di cooptazione e ridurrebbe ulteriormente la concorrenza interna.

La tentazione di costituzionalizzare la legge elettorale

Il neoporcellum non è solo un’ipotesi tecnica, ma si inserisce in una cornice più ambiziosa: mettere in Costituzione i principi fondamentali del sistema elettorale, per renderli più difficili da cambiare e soprattutto meno esposti al controllo della Consulta. Collegando la nuova legge alle riforme sul premierato e sul rafforzamento dell’esecutivo, il disegno complessivo è quello di un assetto più rigido, in cui chi vince dispone di una maggioranza stabile, quasi garantita, per l’intera legislatura.

Da un lato, si vuole evitare il ripetersi di stagioni segnate da governi di breve durata, maggioranze variabili e coalizioni costruite in Parlamento dopo il voto. Dall’altro, cresce il timore che un premio di maggioranza “blindato” a livello costituzionale possa trasformarsi in una forzatura permanente del principio di rappresentanza, con un numero di seggi assegnato alla coalizione vincente ben superiore al peso reale nel Paese.

Per cambiare la Costituzione servono maggioranze qualificate e, in mancanza di esse, il passaggio obbligato del referendum confermativo. La partita, dunque, non si giocherebbe solo in Parlamento, ma anche davanti agli elettori, chiamati a pronunciarsi non più su un semplice “ritocco” di legge ordinaria, ma sul modello di democrazia che l’Italia intende adottare nei prossimi decenni.

Stabilità contro rappresentanza, lo scontro che arriva

Il messaggio della maggioranza è lineare: serve una legge elettorale che garantisca governi stabili, in grado di reggere per cinque anni e di portare a termine il programma promesso in campagna elettorale. In questa chiave, la riforma viene presentata come un tassello coerente con l’idea di rafforzare il ruolo del capo del governo e ridurre il potere di condizionamento dei piccoli partiti.

Le opposizioni, però, leggono nel neoporcellum un rischio opposto: la costruzione di un sistema che gonfia artificialmente il premio ai vincitori e comprime la pluralità delle voci rappresentate in Parlamento. La preoccupazione è che un partito o una coalizione poco sopra il 40 per cento dei voti possa disporre di una maggioranza schiacciante di seggi, in un contesto in cui le garanzie di equilibrio fra i poteri sono già messe alla prova da altre riforme in corso.

Diversi costituzionalisti avvertono che l’intreccio tra premio di maggioranza robusto, elezione diretta del capo del governo e riduzione del numero dei parlamentari rischia di sbilanciare la forma di governo ben oltre l’esigenza sacrosanta di avere esecutivi più solidi. Il confine tra governabilità e egemonia di una sola maggioranza, in un simile scenario, diventerebbe sottilissimo.

Cosa può succedere adesso

La strada del neoporcellum è ancora in costruzione, ma il segnale politico è chiaro: il centrodestra considera indispensabile intervenire sulla legge elettorale prima del prossimo voto politico, armonizzandola con le altre riforme istituzionali in campo. Il testo definitivo dovrà chiarire i dettagli decisivi: soglia per il premio, ampiezza del bonus, tipo di collegi, regole sulle preferenze, trattamento dei partiti che scelgono di correre da soli.

L’impressione è che, al netto dei ritocchi tecnici, la direzione sia tracciata: meno peso ai collegi uninominali, più forza alle coalizioni pre-elettorali, un premio di maggioranza disegnato per dare a chi vince cinque anni di governo relativamente al riparo dai numeri ballerini in Parlamento. Una prospettiva che promette stabilità, ma che apre una discussione inevitabile su quanto spazio resterà, domani, per il dissenso, la competizione interna e la capacità degli elettori di incidere davvero sulla composizione delle Camere.

In una democrazia che ha cambiato più volte legge elettorale negli ultimi vent’anni, la scelta di un nuovo modello non sarà mai neutrale. Il neoporcellum non è solo un algoritmo di seggi: è la fotografia politica che la classe dirigente di oggi vorrebbe consegnare all’Italia di domani. Ed è proprio su quel futuro che, presto, si misurerà lo scontro vero.

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