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Condono in Campania, la manovra diventa un referendum

- di: Vittorio Massi
 
Condono in Campania, la manovra diventa un referendum
Condono in Campania, la manovra diventa un referendum
La sanatoria del 2003 ritorna al centro dello scontro politico

Un emendamento alla legge di bilancio riapre i termini del condono edilizio del 2003 e, nel giro di poche ore, trasforma la Campania nel laboratorio politico più esplosivo del Paese. La misura nasce per recuperare gli esclusi dalla vecchia sanatoria, in particolare nel Mezzogiorno, ma finisce per sovrapporsi in modo chirurgico al rush finale della campagna per le regionali, a una settimana dal voto.

Nel centrodestra c’è chi festeggia e promette che la regione sarà la prima a recepire la nuova norma, e chi invita a raffreddare gli entusiasmi, sostenendo che ogni situazione andrà valutata “caso per caso”. Le opposizioni, invece, parlano senza giri di parole di “voto di scambio”, accusando il governo di usare il tema casa come clava elettorale in un territorio segnato da anni di abusivismo, frane e alluvioni.

Cosa prevede l’emendamento e perché guarda alla Campania

L’emendamento proposto in Senato interviene sulla sanatoria varata nel 2003, il cosiddetto terzo condono edilizio, nato per regolarizzare una parte delle costruzioni realizzate entro il 31 marzo di quell’anno e non ricadenti nelle aree più a rischio o sottoposte a vincoli stringenti. La novità è la riapertura dei termini per presentare domanda, mirando soprattutto agli immobili che, pur essendo astrattamente sanabili, rimasero fuori per norme regionali più restrittive o per cavilli procedurali.

In questo quadro, la Campania appare come il bersaglio principale: qui, all’epoca, il condono del 2003 fu di fatto bloccato da scelte della giunta regionale, con una legislazione che rese molto difficoltosa la regolarizzazione di migliaia di immobili. Quelle decisioni, rimaste impresse nelle carte e nelle sentenze, hanno prodotto un limbo giuridico in cui intere famiglie vivono con l’ombra dell’abbattimento sulla testa.

Proprio su questo nodo insiste il candidato del centrodestra e esponente di primo piano della coalizione regionale, che rivendica la misura come una “sanatoria per chi ha seguito le regole”: “Parliamo di persone che hanno presentato domanda, si sono autodenunciate, hanno versato le somme richieste e oggi continuano a vivere senza certezze”, argomenta, promettendo che la Campania sarà la prima a recepire la norma qualora vincesse le elezioni.

La frattura nel centrodestra: entusiasmo e freni a mano

Se una parte della coalizione cavalca apertamente il tema, un pezzo del centrodestra di governo preferisce non trasformare il condono in un totem. La linea più prudente viene riassunta da chi, in queste ore, ricorda che la questione va affrontata con “valutazioni puntuali, caso per caso”, evitando automatismi che possano premiare chi ha costruito dove non si poteva.

Dietro la prudenza c’è la consapevolezza che la sanatoria divide profondamente l’elettorato moderato, in particolare nei territori più esposti al dissesto idrogeologico. Alcuni esponenti di governo, secondo ricostruzioni parlamentari, sottolineano che l’emendamento è ancora alla fase iniziale: è stato segnalato tra le proposte “prioritarie” in commissione, ma dovrà superare i vagli tecnici e politici prima di arrivare in Aula.

Tradotto: la norma può ancora essere limata, annacquata o, in teoria, anche ritirata. Ma intanto il messaggio politico è arrivato forte e chiaro agli elettori campani.

Opposizioni all’attacco: “Voto di scambio” e “resa alla legalità”

Sul fronte opposto, il fuoco è di fila. I partiti di minoranza leggono il tempismo come un segnale plateale di campagna elettorale. C’è chi definisce la mossa “pazzesca” e chi parla apertamente di “governo del voto di scambio”, accusando l’esecutivo di usare la manovra economica come strumento per condizionare il voto in una regione chiave.

Il leader del Movimento che guida l’opposizione di sinistra in Parlamento bacchetta l’esecutivo per il suo “totale scollamento dalla realtà”: secondo lui la priorità dovrebbe essere il diritto alla casa, non l’ennesimo intervento una tantum per sanare situazioni irregolari. Al centro del discorso c’è l’idea che un condono a ridosso del voto alimenti la sensazione che, ancora una volta, chi ha rispettato le regole venga penalizzato.

Durissimo anche l’ex presidente del Consiglio che guida oggi una formazione riformista: per lui, annunciare un condono in Campania mentre si vota per il nuovo governatore significa certificare che “il governo non ha una strategia strutturale per la casa, ma solo misure di breve respiro”.

Dal fronte ambientalista, poi, arriva l’accusa più radicale: la riapertura della sanatoria viene definita una “resa alla legalità”, il segnale che, invece di investire sulla rigenerazione urbana e sulla sicurezza del territorio, si preferisce “strizzare l’occhio a chi ha costruito dove non si doveva”.

Il ruolo di Fico: “Non condoni, ma diritto alla casa”

In Campania, il tema ha un volto preciso: quello del candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione. L’ex presidente di Montecitorio definisce l’operazione un annuncio disperato, una mossa da “ultima settimana” che punta a polarizzare il voto su una promessa facile da comprendere ma difficile da mantenere.

“Quello che manca in Campania è il diritto alla casa, non un nuovo condono”, insiste il candidato, invitando a spostare il baricentro del dibattito su edilizia pubblica, alloggi popolari, rigenerazione dei quartieri periferici e lotta alla speculazione. A suo avviso, la riapertura della sanatoria rischia di rimettere al centro l’abusivismo come scorciatoia, proprio in un territorio dove l’intreccio tra cemento illegale, fragilità del suolo e criminalità organizzata è storicamente documentato.

Non manca, nei suoi interventi, la critica al clima da operetta che circonda la campagna elettorale: “Basta sceneggiate a colpi di annunci, servono piani seri e risorse vere”, è il messaggio che il candidato rilancia appuntamento dopo appuntamento.

Abusivismo, frane, alluvioni: il conto presentato al territorio

A rendere il dibattito ancora più incandescente sono i numeri sull’abusivismo edilizio e gli effetti concreti sul territorio. In Campania, negli ultimi decenni, la pressione del cemento irregolare è stata più volte collegata a frane, smottamenti e alluvioni che hanno messo in ginocchio intere comunità, con danni enormi e, in molti casi, vittime.

I rapporti sulle ecomafie e sul consumo illegale di suolo raccontano una regione che, a partire dagli anni Duemila, ha guidato la classifica nazionale delle costruzioni fuorilegge. Sanare edifici che insistono su versanti instabili, letti di fiume o aree a forte rischio idrogeologico è, ricordano i tecnici, semplicemente impossibile: quelle strutture vanno rimosse, non regolarizzate.

Per questo, l’emendamento si accompagna ad altre misure in discussione, tra cui l’ipotesi di rafforzare il Fondo per le demolizioni delle opere abusive, gestito tramite la finanza pubblica e affidato a una grande istituzione finanziaria nazionale. Il tetto delle risorse, oggi limitato, potrebbe essere innalzato per consentire ai Comuni di intervenire con più decisione sugli immobili irregolari da abbattere.

Condono sì, ma con limiti: cosa dice la normativa del 2003

La sanatoria del 2003, a cui guarda l’emendamento, non è un lasciapassare indiscriminato. Le regole fissate all’epoca – e ribadite da anni di giurisprudenza – stabiliscono che il condono non può riguardare aumenti di volume in aree vincolate, ampliamenti significativi o costruzioni in zone classificate a rischio elevato. Anche laddove la domanda di condono è stata presentata nei tempi, la presenza di vincoli paesaggistici o ambientali può comportare il rigetto.

La Campania, con la propria legislazione regionale adottata a metà anni Duemila, ha ulteriormente irrigidito il quadro, definendo con precisione quali opere potessero essere considerate “ultimate” entro le date previste e distinguendo tra interventi minori e trasformazioni più profonde del territorio. Il risultato è che una fetta consistente di richieste è rimasta sospesa, generando il contenzioso che oggi la politica promette di risolvere con un colpo di spugna.

Ma i tecnici avvertono: riaprire i termini non cancellerà automaticamente i paletti esistenti. Anche con la nuova norma, resterà il divieto di sanare costruzioni in aree dove il rischio idrogeologico o il valore paesaggistico sono considerati prevalenti.

Manovra sotto assedio: migliaia di emendamenti e un condono “segnalato”

Il condono edilizio non è l’unico fronte caldo della manovra. In commissione Bilancio è arrivata una valanga di emendamenti, oltre cinquemila proposte di modifica che spaziano dagli incentivi alle imprese alle norme sugli scioperi, passando per bonus fiscali, ritocchi alle pensioni e interventi su affitti brevi e rottamazioni.

In questo mare di correzioni, il condono figura tra i cosiddetti “segnalati”, cioè gli emendamenti che i partiti di maggioranza indicano come prioritari rispetto alla massa delle proposte minori. Nelle prossime ore, i tecnici dei ministeri e gli uffici parlamentari passeranno al setaccio i testi, valutando coperture, compatibilità giuridica e impatto sui conti pubblici.

L’eventuale approdo in Aula, dunque, non è scontato. Ma, anche qualora la norma venisse ridimensionata o congelata, il segnale politico lanciato in piena campagna elettorale in Campania continuerà a pesare sulla percezione dell’opinione pubblica.

Gli scenari dopo il voto: sanatoria, demolizioni e credibilità

Se il centrodestra dovesse vincere le regionali, il candidato governatore ha promesso che la Campania sarà la prima a recepire la riapertura del condono, offrendo un percorso rapido a chi è rimasto intrappolato nel limbo del 2003. In caso di vittoria del centrosinistra, invece, il messaggio è opposto: nessuna scorciatoia, investimenti su edilizia pubblica, piano casa e rigenerazione urbana, con un ruolo centrale per demolizioni e messa in sicurezza del territorio.

Sullo sfondo resta la questione più delicata: la credibilità delle istituzioni. Ogni nuovo condono, avvertono giuristi e urbanisti, rischia di alimentare l’aspettativa che, prima o poi, arriverà un’altra sanatoria a sanare gli abusi, indebolendo la forza dissuasiva delle regole. Allo stesso tempo, ignorare migliaia di famiglie che hanno seguito iter amministrativi e pagato somme significative significa lasciare aperta una ferita sociale.

Per questo, diversi osservatori invocano una strategia di lungo periodo: censimento completo del patrimonio abusivo, distinzione chiara tra ciò che può essere integrato nel tessuto urbano e ciò che va necessariamente abbattuto, rafforzamento dei fondi per le demolizioni, piani di rilocalizzazione per chi vive in edifici a rischio, e un grande programma di edilizia pubblica e sociale.

Nel frattempo, il condono edilizio è già diventato molto più di un emendamento alla manovra: è lo spartiacque simbolico della campagna elettorale in Campania e il banco di prova del rapporto tra politica, legalità e diritto alla casa in Italia.

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