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È morto Piero Melati, cronista contro la mafia

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
È morto Piero Melati, cronista contro la mafia

FOTO: YouTube - youtube.com/@maremossomagazine

È morto a Roma, a 69 anni, il giornalista Piero Melati, colpito nei giorni scorsi da un infarto e poi da un’emorragia cerebrale che non gli ha lasciato scampo. La notizia della sua scomparsa ha colpito colleghi, lettori e amici: con lui se ne va una voce che ha attraversato alcune delle stagioni più difficili e decisive del giornalismo italiano, portando con sé rigore, coraggio e una scrittura sempre lucida.

È morto Piero Melati, cronista contro la mafia

Nato a Palermo, Melati aveva cominciato negli anni Ottanta al quotidiano L’Ora, una palestra unica di giornalismo d’inchiesta. Erano anni durissimi: la seconda guerra di mafia mieteva vittime nelle strade, e il maxiprocesso muoveva i primi passi in un’aula bunker blindata. Scrivere di quei temi significava esporsi, rischiare, sfidare un silenzio che la mafia imponeva con il sangue. Melati fu parte di quella generazione di cronisti che imparò a raccontare senza clamore, con la secchezza dei fatti, ma anche con l’urgenza morale di dare voce a ciò che molti avrebbero voluto tacere.

Da Palermo a Napoli, poi a Roma
Dopo l’esperienza a L’Ora, Melati passò a la Repubblica. Nel 1990 fu tra i fondatori della nuova redazione di Napoli, in una città scossa dalle contraddizioni della camorra e dai fermenti sociali. La sua firma divenne riconoscibile, capace di attraversare territori diversi: dalla cronaca nera al costume, dalla politica locale alle storie di strada.
In seguito approdò a Roma, dove lavorò nella redazione centrale e poi al settore cultura. Qui seppe unire l’esperienza di cronista con la sensibilità del divulgatore, offrendo ai lettori non solo il racconto dei fatti, ma anche la profondità di chi conosceva le radici storiche e culturali di ciò che scriveva.

I libri e l’impegno civile
Il nome di Melati resta legato soprattutto alla sua attenzione per le vicende di Cosa nostra. Non solo articoli, ma anche libri che hanno segnato una stagione di memoria e riflessione civile.
Tra i suoi titoli più importanti: La notte della civetta, Giorni di mafia e Borsellino. Per amore di verità. In quelle pagine non c’era solo la cronaca, ma il desiderio di trasmettere a nuove generazioni la consapevolezza di cosa significhi vivere e resistere sotto il peso della criminalità organizzata.
Scritti asciutti, mai retorici, che conservano la forza di chi ha visto con i propri occhi e ha deciso di non girarsi dall’altra parte.

Dal giornalismo d’inchiesta alla cultura

La sua carriera non fu però segnata solo dalla mafia. Collaboratore instancabile del Venerdì e di Robinson, Melati si muoveva con naturalezza anche nei territori della cultura e della narrativa. Intervistava scrittori, recensiva libri, esplorava nuovi linguaggi. La sua penna riusciva a tenere insieme il rigore dell’inchiesta con la curiosità intellettuale di chi non si accontenta mai.
Il suo ultimo libro, Lola e Vlad, era un gioco letterario sul mito dei vampiri: una deviazione inattesa, ironica, quasi leggera, ma che rivelava ancora una volta la sua capacità di sorprendere e di non rinchiudersi in un solo registro.

Un cronista che non cercava riflettori
Chi lo ha conosciuto racconta di un uomo schivo, poco incline alla ribalta, ma sempre disponibile con i colleghi. Non amava le pose da “giornalista-eroe”: preferiva la forza dei fatti e delle parole, convinto che la verità non avesse bisogno di proclami.
Nelle redazioni portava con sé un bagaglio di esperienze ma anche una curiosità da eterno apprendista, sempre pronto a leggere, a discutere, a scavare nei dettagli. Era un cronista di razza, ma anche un intellettuale, capace di passare da un’aula di tribunale a un festival letterario senza mai perdere autenticità.

L’eredità di un testimone
La morte di Piero Melati lascia un vuoto profondo. Non solo tra i colleghi, che ne ricordano la professionalità e il rigore, ma anche tra i lettori, che nelle sue pagine trovavano chiarezza e passione civile. La sua carriera, lunga e intensa, è una testimonianza di come il giornalismo possa essere al tempo stesso mestiere e missione: raccontare i fatti, difendere la verità, custodire la memoria.
In un’epoca in cui il rumore rischia spesso di soffocare la sostanza, la sua voce resta come esempio di sobrietà e di coraggio.

Un addio che pesa
Con Piero Melati scompare un pezzo importante della storia del giornalismo italiano. Palermo, Napoli, Roma: tre città che hanno segnato il suo percorso e che in modi diversi si ritrovano nelle sue cronache. Dalla mafia agli scrittori, dalle inchieste al costume, ha attraversato i decenni con uno sguardo sempre lucido, mai piegato alle mode o ai compromessi.
Il suo addio pesa perché ricorda a tutti che dietro le pagine di giornale ci sono persone, storie, vite dedicate a raccontare il mondo. E Melati, con i suoi libri e i suoi articoli, continuerà a raccontarlo anche dopo la sua scomparsa.

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