Monitor dei Mercati Emergenti: perché la Cina resta interessante

- di: Arun Sai, Senior Multi Asset Strategist e Lan Wang Simon, Senior Investment Manager, di Pictet Asset Management
 

Da grandi speranze a una profonda delusione: gli investitori nei mercati azionari cinesi hanno vissuto un anno sulle montagne russe. L'improvvisa riapertura del Paese a gennaio, dopo i lockdown dovuti al COVID, è stata accolta come una svolta cruciale: ha alimentato le speranze di un boom della spesa al consumo che avrebbe rivitalizzato i profitti societari, segnando la fine di anni di scarsa crescita degli utili. Tuttavia, questo scenario ottimistico non si è realizzato. La Cina è sull'orlo della deflazione: la propensione al risparmio delle famiglie è persistente e la spesa dei consumatori rimane al di sotto del trend ante-crisi degli ultimi sei anni. Attualmente, la nostra previsione per la crescita dell'economia è solo del 5% per il 2023, invece del 6% inizialmente previsto. Un dato che potrebbe spingere gli investitori ad abbandonare completamente la Cina. Le azioni cinesi sono, in ogni caso, tra le poche a non aver goduto finora di rendimenti a due cifre. Il mercato è poco battuto anche da investitori che puntano sui mercati emergenti, con i fondi tradizionali che detengono una quota di titoli azionari cinesi inferiore a quella di riferimento.

La verità è che il Paese del Dragone rimane troppo grande per essere ignorato dagli investitori. Esistono, infatti, vari motivi per cui le azioni cinesi dovrebbero essere considerate un'allocazione strategica per i portafogli global: si tratta di un leader mondiale in diversi settori chiave e di un mercato di consumatori in crescita, e la sua economia è in procinto di diventare la più grande al mondo in meno di un decennio. Allo stesso modo, nessuno dovrebbe aspettarsi un rapido cambiamento delle sorti nel Paese: gli sviluppi che potrebbero migliorare il rendimento dei titoli azionari cinesi emergeranno solo molto gradualmente nei prossimi cinque anni. Ciò significa che gli investitori potrebbero trarre maggiore beneficio ricostruendo progressivamente le posizioni in un gruppo di aziende selezionate, concentrandosi sui settori che le autorità locali considerano strategicamente prioritari.

 

Crescita elevata, utili bassi

Sebbene negli ultimi anni la Cina e altri mercati emergenti abbiano registrato una crescita del PIL più marcata rispetto alle economie avanzate, i loro utili societari sono rimasti molto indietro rispetto alle controparti più ricche. In questo scenario, la performance delle aziende cinesi è stata particolarmente deludente. Negli ultimi 15 anni, il tasso di crescita annuo composito degli utili per azione delle aziende cinesi è stato inferiore rispetto alla crescita economica del Paese di ben 8 punti percentuali, il doppio del deficit medio dei mercati emergenti. Questo dato è sfavorevole anche rispetto a quello degli Stati Uniti, dove gli utili sono cresciuti più velocemente dell'economia di 2 punti percentuali nello stesso periodo.

 

Fig.1 Cina, un'eccezione in termini di utili

Divario tra crescita degli utili societari e crescita del PIL, annualizzato, punti percentuali (16 anni), per Paese

Gap PIL EPS

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonte: Refinitiv, MSCI, Pictet Asset Management. Dati relativi al periodo 31/04/2008 - 31/04/2023

 

La (quasi) fine di un tumulto normativo

La storica incapacità della Cina di tradurre la crescita del PIL in incremento degli utili ha diverse cause: un contesto normativo volatile, la diluizione azionaria e una governance debole hanno contribuito a ridurre i profitti societari. Ciononostante, ci sono motivi per ritenere che l'impatto di questi fattori sfavorevoli potrebbe attenuarsi leggermente nei prossimi anni. La normativa è il problema più spinoso che le aziende e i loro azionisti devono affrontare; il governo cinese ha introdotto riforme strutturali volte a promuovere una crescita sostenuta ed equilibrata, evitando la corsa agli investimenti alimentata dal credito degli ultimi anni. Tuttavia, parallelamente a tale cambiamento, si è registrata la tendenza di Pechino ad adottare improvvise strette normative nei confronti di industrie ritenute troppo potenti.

La stretta monetaria, durata due anni e mezzo, che ha coinvolto aziende di punta operanti in settori che vanno dalla tecnologia e istruzione alla finanza e videogiochi, tra cui Alibaba, Tencent e Didi Chuxing, ha fatto perdere più di 1.000 miliardi di dollari al mercato azionario e ha compromesso la capacità delle aziende di incrementare i loro utili. Tuttavia, aspetto incoraggiante per gli investitori, ci sono segnali evidenti di un allentamento delle tensioni tra il settore privato e le autorità statali. A luglio la Banca Popolare Cinese ha inflitto all'affiliata di Alibaba, Ant Group, una multa di quasi un miliardo di dollari per aver violato diverse norme, alimentando la speranza che un'eventuale prossima fine del caos normativo permetta all'azienda di ottenere una licenza di holding finanziaria, ravvivando i suoi progetti per una quotazione in borsa. Nello stesso mese, Pechino si è inoltre impegnata a migliorare le condizioni per le imprese private, delineando più di 30 provvedimenti, tra i quali la promessa di trattare le imprese private come le aziende statali, di collaborare maggiormente con gli imprenditori in merito alla stesura delle normative e di ridurre le barriere all'ingresso del mercato per le aziende.

Le imprese cinesi, dal canto loro, stanno semplificando le proprie attività per far fronte al rallentamento della crescita economica: in tante, ad esempio, hanno rafforzato il controllo sulle spese di gestione, con un conseguente miglioramento del margine operativo e della crescita degli utili. Gli ultimi risultati intermedi hanno sottolineato una tendenza, iniziata l'anno scorso, nella quale la crescita dei profitti è stata superiore a quella del fatturato, soprattutto tra le grandi aziende web e le società di beni di consumo, a dimostrazione di come le misure di autosostegno stiano dando i loro frutti.

 

Buy back vs effetti della diluizione

Gli investitori azionari in Cina hanno sempre dovuto confrontarsi con il tema della diluizione, una caratteristica comune a molti mercati emergenti, nei quali le società in fase di crescita emettono nuove o ulteriori azioni per finanziare la propria espansione, riducendo in tal modo la quota societaria degli azionisti esistenti e diluendo gli utili per azione. La Cina ha registrato una diluizione azionaria particolarmente forte rispetto ad altre aziende dello stesso settore nei mercati emergenti: riteniamo che la vendita di titoli secondari da parte di imprese rappresentate nel principale indice di riferimento azionario nazionale abbia ridotto gli utili per azione di circa il 2% all'anno.

Tuttavia, le autorità cinesi sembrano intenzionate ad alleviare tale pressione: le autorità di regolamentazione dei valori mobiliari del Paese hanno aggiornato la normativa per facilitare il buy back da parte delle aziende quotate, al fine di "salvaguardare attivamente il valore dei loro investimenti e tutelare gli interessi dei piccoli azionisti". In agosto hanno, inoltre, presentato un pacchetto di misure volte a sostenere proprio il buy back per incentivare gli investimenti a lungo termine. Oltre 30 società, tra cui aziende tecnologiche e sanitarie on-line, hanno già annunciato i propri piani in questa direzione. Anche il ritmo delle IPO ha subito un brusco rallentamento negli ultimi due anni, con il valore totale delle operazioni annunciate in calo a soli 51 miliardi di RMB nei primi 10 mesi dell'anno, rispetto a quasi 1.000 miliardi di RMB nel 2021.

Osserviamo, inoltre, un incoraggiante sviluppo in merito agli sforzi intrapresi dal Paese per ristrutturare le sue gigantesche imprese statali, cosa che dovrebbe migliorare le prospettive in termini di profitti societari. Pechino sta intensificando gli sforzi per modernizzare le aziende pubbliche, che rappresentano quasi un terzo del benchmark, per renderle più agili, migliorare la loro redditività e i rendimenti degli azionisti e ottimizzare la comunicazione con gli investitori in una ristrutturazione che potrebbe innescare una rivalutazione del settore e incrementare la visibilità sui flussi di cassa futuri. Il governo ha anche inserito l’aumento del dividend payout ratio tra gli indicatori chiave di performance per le aziende statali, di cui dovrebbero beneficiare anche gli azionisti di minoranza.

Senza dubbio gli investitori stanno diventando più ottimisti. Le aziende statali quotate in borsa nella Cina continentale, che rappresentano quasi un terzo dell'indice CSI300, hanno sovraperformato il mercato quest'anno, con China Mobile che ha guadagnato il 47% e PetroChina oltre il 50%. Sempre nel 2023 l'indice rappresentativo delle principali 100 imprese statali è rimasto stabile rispetto all'indice più generale, che ha perso invece il 10%. Queste aziende statali, dagli operatori di telecomunicazioni alle imprese del settore industriale e delle materie prime, beneficiano di un vantaggio competitivo rispetto ad altre realtà, in quanto Pechino desidera che svolgano un ruolo centrale nel raggiungimento del proprio obiettivo di autonomia in settori strategici come quello dei semiconduttori, della robotica o delle tecnologie ambientali.

 

La prosperità prima della redditività

Nonostante questi sviluppi positivi, alcuni fattori che hanno ostacolato la redditività delle imprese cinesi rimarranno sicuramente presenti nel panorama degli investimenti nei prossimi anni. È probabile che le tensioni geopolitiche che coinvolgono la Cina persistano, o addirittura si intensifichino, poiché molti governi stanno cercando di ottenere indipendenza economica e autosufficienza in settori che rivestono un'importanza strategica e che sono fondamentali per la tutela della crescita futura. In un contesto in così rapida evoluzione, ricco di imprevisti e di opportunità, gli investitori devono rendersi conto che gli asset cinesi non sono adatti a un approccio passivo, del tipo "compra e dimenticatene". Al contrario, è essenziale un approccio attivo, che monitori costantemente gli sviluppi, tenendosi pronti a cambiare rapidamente rotta. In particolare, è importante essere consapevoli dei rischi derivanti dai seguenti fattori:

La relazione tra Stati Uniti e Cina. Un miglioramento del rapporto tra le due potenze economiche in materia di scambi commerciali e tecnologia potrebbe condurre a una potenziale crescita del PIL cinese, riducendo drasticamente il premio di rischio incorporato nell'attuale prezzo scontato. I due Paesi hanno ripreso i colloqui con la visita a Pechino del Segretario al Tesoro, Janet Yellen, a luglio, e del Segretario al Commercio, Gina Raimondo, ad agosto. Ma anni di profonda diffidenza non spariranno da un giorno all'altro: solo progressi tangibili, come la rimozione delle restrizioni all'esportazione, potrebbero cambiare in modo significativo la nostra visione sulla Cina. Tuttavia, non riteniamo che questo sia lo scenario più probabile nei prossimi anni, a causa dell'introduzione di alcune limitazioni in importanti iniziative legislative recenti, come l'Inflation Reduction Act.

Obiettivi strategici. La ricerca di autonomia della Cina in settori chiave legati a tecnologie strategiche, come la decarbonizzazione, la difesa, la sicurezza e i semiconduttori, può rappresentare una vasta gamma di opportunità redditizie per le aziende che operano in questi settori. Tuttavia, ciò va a scapito della redditività e dei rendimenti degli azionisti in settori "non allineati" e dei loro investitori. Settori come quello sanitario resteranno quindi esposti a un'ulteriore volatilità. Gli sforzi di Pechino volti a sradicare la corruzione dilagante nelle pratiche commerciali di vendita di farmaci hanno provocato perdite superiori al 15% per il settore, che, con una quota di poco superiore al 6%, rappresenta comunque una parte modesta dell'indice di riferimento.

Prosperità comune. Sebbene le ultime ondate di strette normative potrebbero aver subito un rallentamento, l'obiettivo politico che ha originariamente innescato tali mosse rimane. Lo slogan del Partito Comunista, che dà priorità all'equità sociale ed economica rispetto ai profitti societari, ha acquisito maggiore rilevanza con l'avvento del presidente Xi Jinping. Il governo ha sfruttato il tema della prosperità comune per giustificare lo stretto controllo sul settore delle imprese e per frenare "l'espansione disordinata del capitale". L'obiettivo di prosperità equa ha svolto un ruolo determinante nel soffocare l'innovazione e nel sopprimere il dinamismo delle imprese cinesi negli ultimi anni. Sebbene siano possibili alcune correzioni, riteniamo che Pechino non abbandonerà tale direzione politica nei prossimi anni.

 

La Cina all'interno di un portafoglio azionario globale

In generale, la Cina è un mercato che dovrebbe rimanere centrale in un portafoglio azionario globale, sia per le opportunità che offre sia per i benefici in termini di diversificazione. Tuttavia, per poter sfruttare appieno il potenziale economico del colosso asiatico, gli investitori nei mercati azionari del Paese devono essere più attenti nelle loro scelte. Anche se i fondamentali macroeconomici dell'economia cinese potrebbero dover affrontare alcune difficoltà nel breve termine, riteniamo che gli sviluppi delle singole aziende siano più incoraggianti. Il premio di rischio più elevato sulla Cina, soprattutto a causa dell'incertezza macroeconomica e dei timori geopolitici, ha gravato sui multipli, ma ciò ha offerto a sua volta interessanti opportunità in termini di valutazione dei titoli.

Prevediamo, infatti, che nei prossimi cinque anni i titoli cinesi offriranno un rendimento che si può solo definire modesto, pari al 7% annuo, al netto dell'effetto di cambio. Un tale rendimento e la prospettiva di un perdurare dello scambio dei titoli cinesi a un prezzo scontato rispetto ai titoli dei Paesi sviluppati suggeriscono che il "beta" del mercato potrebbe rivelarsi una fonte di rendimento inaffidabile. Pertanto, gli investitori dovrebbero ricercare aziende con un bilancio solido, un pricing power sostenibile e una valutazione interessante in settori in linea con le politiche di Pechino.

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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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