Panetta, Governatore di Bankitalia: "400 miliardi di risparmio, ma alla imprese arriva troppo poco"

- di: Fabio Panetta
 

*Tratto dall’intervento di oggi del Governatore della Banca d’Italia per la centesima Giornata Mondiale del Risparmio

(…) Il risparmio ha risentito della crisi finanziaria globale e di quella dei debiti sovrani nell’area dell’euro, e infine della pandemia. A questi fattori si sono aggiunti quelli demografici. L’invecchiamento della popolazione ha accentuato la riduzione del tasso di risparmio: è aumentata l’incidenza di persone anziane, che attingono alla ricchezza per finanziare le spese e registrano quindi un risparmio negativo10. Le risorse accantonate dai lavoratori più giovani, condizionati dai loro bassi redditi11, sono state molto contenute.

Ma non risparmiano solo le famiglie: in questo secolo il risparmio delle imprese è divenuto via via più rilevante, fino a rappresentare due terzi del risparmio privato nell’ultimo decennio. Nel complesso, il flusso annuo di risparmio privato supera oggi i 400 miliardi, un quinto del reddito nazionale. Solo parte di esso, tuttavia, finanzia gli investimenti in Italia. Nel quinquennio precedente la pandemia le risorse interne impiegate all’estero sono ammontate in media al 2,5 per cento del prodotto; se utilizzate per finanziare capitale produttivo in Italia, avrebbero accresciuto gli investimenti di quasi un quinto.

Un’economia stabile, orientata alla crescita

La solidità dell’economia reale è la prima tutela del risparmio. Un’economia solida è un’economia che cresce e investe, generando lavoro, reddito e opportunità d’impiego proficuo del risparmio. Al contrario, un’economia vulnerabile agli shock rischia di subire frequenti fasi recessive, che tendono a ridurre l’accumulo di risparmio.

In questo secolo l’economia italiana ha attraversato fasi difficili. Tra il 2000 e il 2019 il PIL reale pro capite è leggermente sceso, contro un aumento del 25 per cento negli altri paesi europei, che pure perdevano terreno rispetto agli Stati Uniti. Mi sono soffermato in precedenti interventi su questo deludente andamento e sulle sue cause: scarsa capacità innovativa e pochi investimenti, un sistema produttivo frammentato e orientato verso comparti tradizionali, le carenze della Pubblica amministrazione e delle infrastrutture, la bassa partecipazione al mercato del lavoro. L’alto debito pubblico amplifica queste debolezze, esponendo l’economia alle intemperie dei mercati e limitando la nostra capacità di reagire con efficacia a circostanze avverse.

La spesa per interessi assorbe risorse ingenti, che potremmo utilizzare per finanziare istruzione, infrastrutture, sanità.

Negli ultimi anni l’economia italiana ha mostrato incoraggianti segni di miglioramento. Dopo la crisi del decennio scorso, il sistema produttivo ha attraversato un profondo, e doloroso, processo di ristrutturazione. Le imprese ne sono uscite rafforzate. Sono cambiamenti che contribuiscono a spiegare la capacità di reazione dell’economia italiana agli shock recenti. Dalla fine del 2019 il nostro Pil è cresciuto del 5,5 per cento, a fronte del 4,1 della Francia e dello 0,2 della Germania.

L’economia globale attraversa ora una fase di incertezza e debolezza. Secondo il Fondo monetario internazionale il Pil mondiale nel 2025 crescerà poco più del 3 per cento, meno della media dei decenni scorsi. L’economia dell’area dell’euro rimane fiacca, pesano i tassi di interesse reali ancora elevati e il venir meno degli stimoli fiscali degli anni scorsi.

L’economia italiana ne sta risentendo. Ma sono le tendenze di più lungo periodo a preoccupare: i conflitti, la frammentazione del commercio globale, le divisioni in blocchi contrapposti di paesi, un’Europa che patisce la decrescita demografica, accumula ritardi e perde influenza nelle relazioni internazionali. In un tale contesto, l’Unione europea e l’Italia necessitano di profonde riforme.

In Europa va ritrovata quella comunità di intenti che ha consentito l’adozione del programma Next Generation EU e che si è poi andata affievolendo. I campi d’intervento sono numerosi: occorre valorizzare appieno il mercato unico; avviare progetti comuni in innovazione e tecnologia, a partire dalle transizioni digitale ed ecologica; ridurre le dipendenze dall’estero nei settori dell’energia e della difesa; semplificare le norme; creare una capacità fiscale centrale e autonoma; affrontare la sfida demografica.

L’Italia ha una responsabilità importante per dare credibilità al progetto europeo, realizzando gli investimenti e le riforme previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, riducendo l’incidenza del debito pubblico sul prodotto e affrontando con decisione i nodi irrisolti che ho richiamato.

La stabilità monetaria

La stabilità monetaria è il secondo pilastro per la salvaguardia del risparmio. L’inflazione peggiora l’allocazione delle risorse ed erode il valore reale del risparmio. Nei suoi primi vent’anni di vita l’Unione monetaria ha garantito un’inflazione moderata. La pandemia e lo shock energetico hanno però alterato questa condizione: nel 2022 i prezzi al consumo sono cresciuti del 10 per cento nell’area dell’euro, del 12 in Italia.

La restrizione monetaria attuata dalla BCE ha contribuito a ridurre l’inflazione in modo altrettanto rapido quanto il precedente rialzo: la dinamica dei prezzi è oggi attorno al 2 per cento per la prima volta dal 2021. La BCE ha potuto quindi ridurre il tasso di riferimento in tre riunioni consecutive a partire da giugno. Le condizioni monetarie rimangono però restrittive, e richiedono ulteriori riduzioni. Con il rientro dell’inflazione, occorre porre attenzione alla fiacchezza dell’economia reale: in assenza di una ripresa sostenuta, si correrebbe il rischio di spingere l’inflazione ben sotto l’obiettivo. Una situazione che la politica monetaria faticherebbe a contrastare e che va evitata. (…)

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