Le contraddizioni degli Stati generali, che restano comunque un'occasione
- di: Diego Minuti
E Stati generali siano, verrebbe da dire, guardando la grande occasione che Giuseppe Conte si è regalato organizzando il confronto di idee e proposte che si sta svolgendo a villa Pamphili.
Chi più, chi meno, tutti i partecipanti a - come chiamarlo? cosa è in realtà? - questo incontro hanno espresso il loro appoggio al format adottato dal presidente del Consiglio, che però, da un punto di vista pratico (lasciamo il resto ai costituzionalisti ed agli esperti di galateo politico-parlamentare), qualche perplessità la lascia.
Se abbiamo capito bene, l'evento deve consentire a Conte (ma non al resto dell'esecutivo: la sua iniziativa autonoma, anzi solitaria, ha creato malumore nel Pd, manifestamente lasciato all'oscuro) di raccogliere le idee per avviare, con i soldi dell'Unione europea in cassa, un grande, ennesimo piano di rinascimento del Paese.
Una idea originale, che più d'un pentastellato ha esaltato, se non nascesse con premesse che mettono il suo cammino in salita.
La prima deve necessariamente riguardare i tempi. Perché se la riunione di villa Pamphili darà al premer elementi di riflessione, su cui costruire una strategia per il futuro immediato, allo stesso tempo imporrà che le proposte uscite dagli Stati Generali siano attentamente vagliate e, quindi, attuate sulla base di un piano fattibile, concreto e lontanissimo anche solo dalla minima possibilità d'essere usato da qualcuno per fini d'arricchimento personale ai danni della comunità.
Ovvero, servirà del tempo perché tutte le tappe d'avvicinamento al piano frutto della proposta siano blindate da diversi punti di vista: politico, amministrativo, giudiziario, finanziario. Cioè occorreranno mesi e mesi per dare concretezza ad una enunciazione di principio che deve acquistare veste di atto del governo.
I tempi? Ragionevolmente non saranno brevissimi, come i tempi per consentire allo Stato di introitare il denaro che arriva dall'Europa e che, per essere erogato, richiederà anche atti politici, perché le riforme non possono essere varate con atti monocratici, ma devono avere se non l'appoggio, quanto meno un confronto con tutte le forze che siedono in Parlamento.
È il gioco della democrazia e, al netto delle strumentalizzazioni portate avanti da Salvini e Meloni, deve vedere la partecipazione di tutti e non escludere qualcuno solo perché non la pensa come chi dà le carte.
Gli Stati Generali quindi, se tutti abbiamo capito tutto, metteranno sul tavolo di discussione l'esito del confronto tra idee forse anche diverse, da utilizzare come ingredienti per il prodotto finale, questo gigantesco piano da cui l'Italia, la nostra Italia, dovrebbe uscire più forte, più bella, più rispettata.
Ok, ora rimettiamo sullo scaffale il libro dei sogni ed andiamo sul concreto.
Mentre noi ragioniamo, analizziamo, spulciamo, vivisezioniamo le proposte e le osservazioni, prendendoci tutto il tempo che serve, altri, pure loro alle prese con la crisi da Corona Virus, non convocano nulla, ma si rimboccano le maniche e lavorano, concretamente per i loro connazionali.
Citando, ancora una volta per affinità economica e politica, la Francia, dobbiamo prendere atto che dall'altro lato delle Alpi le decisioni sono state prese in fretta, così come la velocità sembra avere contraddistinto le singole misure, facendo sì che le promesse fossero precedute dalla concretezza, che ha significato denaro fresco e immediatamente utilizzabile dalle imprese, non solo quelle di spessore nazionali, ma, come ad esempio il circuito delle librerie indipendenti, anche quelle che agiscono in un'ottica di contiguità.
Noi no, perché dobbiamo aspettare che gli Stati generali ci diano consigli e ammonimenti.
Gli Stati generali saranno monchi della presenza dell'opposizione, anche di quella (Forza Italia) più sensibile ai temi dell'Europa. Una scelta politicamente motivata con la voglia di non partecipare ad una passerella. Posizione rispettabile, ma forse da non condividere perché, se è vero che le decisioni spettano poi al Parlamento, un tavolo non istituzionalmente caratterizzato, come quello di villa Pamphili, avrebbe dato la possibilità di discutere, magari inutilmente, ma tenendo accesa la flebile fiammella di un dialogo tra maggioranza ed opposizione, che comunque è molto più divisa di quel che vuole apparire. Se Fratelli d'Italia e Forza Italia si appiattiscono sulle proposte di Salvini (flat tax, condoni, giro di vita sull'immigrazione clandestina e via con lo stesso, immancabile copione), significa solo che l'opposizione non ha nessuna intenzione di collaborare per la rinascita del Paese.
Un ragionamento brutale? Può darsi, ma se non ci si siede a discutere si perde un'occasione.