L'Italia ostaggio della burocrazia e dell'immobilismo di Conte
- di: Diego Minuti
“A causa dell'imponente e complesso apparato normativo, il settore dei contratti pubblici (che soltanto nel 2018 ha rappresentato un valore economico di circa 140 miliardi di euro) sconta insormontabili difficoltà interpretative e applicative, che ne determinano ormai da troppo tempo un sostanziale blocco a esclusivo danno dell'economia nazionale”. È uno stralcio della dichiarazione con cui il senatore Nazario Pagano, di Forza Italia, ha spiegato dalle colonne del Sole-24 Ore, la sua proposta per superare il codice degli appalti - approvato dal Governo Renzi per non incorrere nella procedura di infrazione dell'Ue - e quindi dare impulso alla nostra disastrata economia.
Non entro nel merito della proposta, che comunque, visto il quadro generale delle norme che regolano i nostri contratti pubblici, appare di buonsenso. Forse non condivisibile per intero, ma certamente un contributo e questo, in un momento in cui a prevalere è la voglia di demolire senza poi costruire, è già tanto.
L'iniziativa dell'esponente forzista è comunque la conferma che a comandare in questo momento in Italia è una diarchia: la paralisi amministrativa, conseguenza dell'immane massa di codici e codicilli che alimentano la burocrazia, e la precisa volontà di cristallizzare tutto in attesa di chiarimenti politici che sono ben lontani dal manifestarsi.
Mentre l'Italia resta appesa alla speranza e solo ad essa e la possibilità di un riesplodere della pandemia viene ipotizzata come effetto di un allentamento delle misure di contrasto, noi siamo qui in attesa che qualcuno, dalla parti di palazzo Chigi, prenda una decisione, una che sia una.
Verrebbe da dire, una qualsiasi che sia conseguenza di un acuto pensare. Ed invece questo non accade, e tutto viene rimandato, come se il tempo potesse schiarire le idee e rendere terso il nebuloso cielo politico sulla Capitale.
Giuseppe Conte rimanda e, quindi, rimanda ancora, quando invece ci sarebbero da prendere decisioni.
Come, ma è solo un esempio, la revisione del codice degli appalti che, per come è oggi, mette una infinita serie di ostacoli alla speditezza dell'iter di un'opera pubblica. Che, certamente, porta soldi all'imprenditore, ma immette denaro fresco nella macchina del Paese. Ed invece tutto rimane come prima.
Al confronto di Conte, Quinto Fabio Massimo (passato alla storia col nomignolo, non si sa sino a ce punto da lui gradito, di 'Temporeggiatore') appare un decisionista, uno di quelle che prima agisce e poi pensa.
Il Mes, ma è l'ultimo degli esempi, si può utilizzare o no. Ma una decisione sull'eventuale accesso ai suoi fondi si può rinviare a settembre, cioè tra due mesi, ovvero quando presumibilmente la crisi sarà ben lontana dall'essere superata, anzi ancora più acuta?
Rispettiamo Giuseppe Conte, anche perché comprendiamo il suo percorso, quello che da semplice avvocato (e nemmeno tanto famoso) lo ha portato al vertice di un Paese che forse avrebbe preteso maggiore esperienza dall'uomo nelle cui mani i due partiti usciti vincitori dalle elezioni hanno deciso di affidare l'Italia.
Per cercare di capire cosa abbia in testa Conte bisognerebbe sapere quali siano i suoi progetti, non quelli per il Paese, ma proprio i suoi, quelli personali. Il traccheggiare che sta mettendo in mostra sono quelli di chi aspetta, sperando in qualcosa che giustifichi una sua decisione. Ma un conto sono i suoi sogni (c'è chi giura che pensi al Quirinale e c'è da farsi venire la pelle d'oca a pensare che Rocco Casalino possa diventare il dominus dell'austero palazzo, visto come intende il suo ruolo oggi, soprattutto mettendolo a confronto con Giovanni Grasso, l'austero e misuratissimo portavoce di Sergio Mattarella), un altro è il rispetto per il suo mandato, che non è certo quello di rinviare ogni decisione, rimettendosi allo Stellone d'Italia.