Capitol Hill: l'amore per il suo Paese ha trasformato Ashli da soldato a martire dell'eversione

 
Donna; bianca; 35 anni; veterana dell'Aeronautica (con quattro "ferme" per un totale di 14 anni); residente in una area urbana; cultura da "scuola media superiore": questo potrebbe essere il profilo di qualsiasi americano o americana, secondo i parametri più usati.
A questi dati anagrafici corrisponde Ashli Babbit, la donna rimasta uccisa nel corso dell'irruzione di manifestanti a Capitol Hill, dove si stava tenendo la seduta del congresso che doveva certificare, per come poi ha fatto, l'elezione di Joe Biden a 46/mo presidente degli Stati Uniti.

Delle circostanze della sua morte si sa solo che la donna faceva parte dei manifestanti che hanno fatto irruzione nel Campidoglio e che è stata uccisa, con un colpo di pistola al petto, da uno degli agenti in uniforme che proteggevano Capitol Hill, secondo quanto ha riferito il capo della polizia di Washington.
Gli altri numeri della giornata parlano, oltre che di quella di Ashli Babbit, di altre tre morti, riconducibili alla sommossa. Poi ci sono stati 52 arresti, di cui 26 nel perimetro del Campidoglio.
Ma forse, più che sui numeri, che hanno la loro importanza in un evento come quello di ieri, occorre riflettere su come una donna "normale" come Ashli Babbit abbia abbracciato la causa della ribellione violenta per i risultati di una elezione che più magistrati hanno ritenuto assolutamente regolare.

Ashli non veniva dalla "periferia" americana, da uno di quei piccoli insediamenti rurali dove ha attecchito il verbo di Donald Trump, un misto di spirito di rivalsa e di disprezzo per l'avversario. Questa veterana dell'Air Force viveva con il marito nell'area urbana di San Diego, una delle città più importanti della California, quindi lontano da quello spirito della frontiera che ha alimentato le schiere dei trumpiani, spesso annidatisi nelle milizie bianche e suprematiste che anche ieri hanno fatto la loro comparsa nella ''odiata'' Washington.

Le poche cose che, ad oggi, si sanno di lei riguardano il suo impegno politico, lei che, sul suo account di Twitter, si presentava come "veterana" e "libertaria", spendendo sempre parole dolci verso il suo Paese. Un impegno che si era manifestato con la sua convinta adesione alla manifestazione di Washington, di cui aveva rilanciato gli appelli alla partecipazione. Ma era partita da sola per la capitale, senza il marito che aveva deciso di non accompagnarla, forse non condividendo l'eccessiva tensione che stava montando intorno al raduno dei sostenitori di Trump.
Ora forse ci sarebbe anche da chiedersi cosa abbia trasformato Ashli, da una donna in divisa rispettosa delle gerarchie in una accanita sostenitrice di Trump, talmente convinta delle sue idee da rispondere, ad un altro fan del presidente che si lamentava della cancellazione del suo volo verso la capitale, con parole che, oggi, fanno riflettere: "Niente ci fermerà ... Possono provare, provare e provare, ma la tempesta è qui e sta scendendo su Washington … Dal nero alla luce!".

Ashli Babbit era diventata questo, facendo una scelta di campo che l'ha portata, cancellando gli anni in cui indossava la divisa di uno Stato che aveva giurato di difendere, a violare ogni regola e molte leggi per portare le sue idee nel cuore della democrazia, a costo di violarla.
Quella di ieri non è stata la prima volta che il Campidoglio è stato oggetto di violenze. Nel 1954 alcuni nazionalisti portoricani aprirono il fuoco, da una galleria dell'edificio, ferendo cinque parlamentari. Nel 1971, un attentato dinamitardo, attribuito ad un gruppo della sinistra radicale, non provocò danni a persone. Nel 1998, un uomo uccise, a colpi di pistola, due agenti di polizia in servizio al Campidoglio. Ma mai, dal 1814, quando gli inglesi appiccarono un incendio al Campidoglio, una folla aveva invaso l'ultimo simbolo della libertà americana.
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