La vigilia (o quasi) non è più una parentesi: in Ucraina è un amplificatore. Nella notte tra il 22 e il 23 dicembre, e poi ancora nelle ore successive,
Mosca ha spinto sull’acceleratore con un’ondata di droni e missili che Kyiv descrive come una delle più imponenti del 2025.
Risultato: vittime civili, infrastrutture colpite e una rete elettrica già provata costretta a nuove misure d’emergenza.
Una pioggia di fuoco su 13 regioni
Secondo quanto comunicato dalle autorità ucraine e ripreso da diverse testate internazionali, l’attacco ha coinvolto oltre 650 droni e
quasi 40 missili (le cifre variano di poco tra le ricostruzioni). Le aree raggiunte sarebbero state 13 regioni,
incluse zone strategiche come Kyiv e l’area di Odesa.
Il bilancio umano, nelle prime ore, ha parlato di almeno tre morti, tra cui un bambino di 4 anni nella regione di
Zhytomyr. Le informazioni sui feriti e sui danni sono evolute con il passare della giornata, mentre proseguivano gli interventi di soccorso.
Il bersaglio che fa più male: energia e servizi essenziali
Il cuore dell’operazione sembra essere stato ancora una volta il sistema energetico: centrali, snodi di trasmissione, infrastrutture considerate “di vita”
perché reggono riscaldamento, acqua, trasporti e comunicazioni. Nel pieno dell’inverno, ogni colpo che manda giù la corrente non è solo un danno materiale:
è una leva sociale.
In diverse aree sono stati segnalati blackout e distacchi preventivi. Aziende del comparto hanno riferito di impatti su impianti e linee:
il messaggio, anche qui, è brutale e semplice. Se la guerra non si chiude al tavolo, può peggiorare nel quotidiano.
Zelensky: “Colpiscono mentre si parla di pace”
Volodymyr Zelensky ha scelto parole durissime. Ha accusato Vladimir Putin di non voler “smettere di uccidere” e ha descritto i raid come una risposta
cinica al clima natalizio: colpire quando le famiglie provano a sentirsi al sicuro.
Il presidente ucraino ha anche legato esplicitamente l’offensiva al momento diplomatico: negoziati e contatti sono in corso, ma sul terreno arrivano segnali
opposti. La conclusione di Kyiv resta invariata: più pressione internazionale su Mosca, perché senza costi concreti l’incentivo a frenare
è minimo.
La replica russa: “Ritorsione” e obiettivi “militari”
Dal lato russo la cornice è quella della rappresaglia. Mosca sostiene di reagire a operazioni ucraine che, da mesi, prendono di mira raffinerie e siti
energetici in territorio russo, con l’obiettivo di comprimere entrate e logistica. Anche qui la comunicazione è una battaglia: “difesa” contro
“terrorismo”, da una parte; attacchi indiscriminati e colpi su civili, dall’altra.
Quando la guerra “tocca” la Nato: la mossa della Polonia
L’ampiezza dei lanci ha avuto un effetto immediato oltre confine. La Polonia ha attivato procedure di sicurezza: caccia in volo,
difese antiaeree e radar in stato di allerta. Varsavia lo fa con un obiettivo dichiarato: prevenire sconfinamenti accidentali e proteggere lo spazio aereo
nelle zone più vicine alle regioni ucraine colpite.
Miami, bozze e garanzie: la diplomazia prova a non farsi schiacciare
Nelle stesse ore, Kyiv ha provato a tenere insieme emergenza e trattativa. Zelensky ha riferito di un confronto con
Rustem Umerov e Andriy Hnatov, rientrati da incontri a Miami con emissari legati a Donald Trump.
La formula scelta è stata prudente ma significativa: lavoro “produttivo” e bozze di documenti già pronte.
Il punto centrale, secondo la narrativa ucraina, resta uno solo: garanzie di sicurezza che impediscano una nuova invasione.
Tutto il resto (ricostruzione, cornice politica, percorso di implementazione) viene dopo, o comunque insieme, ma non può sostituire quel pilastro.
La leva europea: 90 miliardi e un telefono che squilla
Sullo sfondo pesa la decisione dell’Unione europea di predisporre un pacchetto di 90 miliardi di euro in forma di prestiti per sostenere
Kyiv nel biennio 2026-2027. Zelensky ha discusso anche di questo in una telefonata con la presidente della Commissione
Ursula von der Leyen, insistendo su un concetto: se i negoziati possono cambiare la situazione, allora serve una pressione coordinata
“da parte di tutti i partner” perché la pace non diventi un sinonimo di resa.
Perché la “scadenza di Natale” è soprattutto un simbolo
L’idea di un accordo entro Natale, evocata nel dibattito politico statunitense, appare sempre più lontana. Non solo per le distanze tra le posizioni,
ma perché i raid raccontano una realtà: chi pensa di avere margine sul campo, tende a negoziare da più duro.
In più c’è un dettaglio che pesa nel racconto: non tutti “sentono” Natale allo stesso modo. In Russia la ricorrenza non ha la stessa centralità
che ha in Occidente, e quindi la data funziona più come messaggio politico per Washington che come vero spartiacque per Mosca.
La domanda che resta: deterrenza o spirale?
A Kyiv la linea è netta: rafforzare difese aeree, proteggere la rete energetica e usare la diplomazia come moltiplicatore, non come sostituto.
Dall’altra parte, il Cremlino continua a presentare le proprie mosse come risposta e pressione.
In mezzo ci sono i civili: ogni notte di sirene sposta l’equilibrio emotivo del Paese e, nel gelo, rende la luce una questione politica.
Il paradosso di queste ore è tutto qui: si scrivono bozze di pace mentre i missili dettano l’agenda.