L'Intervento / In morte di Roberto De Simone
- di: Bruno Chiavazzo, giornalista e scrittore

Ero tentato di scrivere ancora sul bancarottiere americano, sul possibile impeachment per insider trading, ma poi ho pensato: a che serve? Se non saranno gli americani a porre fine a questo scempio, che loro stessi hanno causato, gli articoli indignati, le analisi di dotti, medici e sapienti resteranno solo lettere morte.
Nel frattempo continuavo a leggere le lodi in morte del grandissimo musicologo napoletano, Roberto De Simone, scomparso a 92 anni qualche giorno fa. Tutti a sperticarsi in ricordi, a vantarsi della sua amicizia in vita. Sepolcri imbiancati, coccodrilli, corvi che banchettano sulle spoglie del caro estinto. La stessa città di Napoli che ha visto i suoi natali, come i miei, si è vestita a lutto, con il sindaco in testa a cantare i requiem per la scomparsa.
Ma per lui in vita nessuno ha fatto niente, come sempre: solo quando sei morto e non puoi replicare, tutti si ricordano di te. Aveva denunciato la sua condizione di vita in un’intervista a Repubblica: “Ho bisogno di medicine di mantenimento per vivere. Medicine essenziali per la mia sopravvivenza e per le quali non pagavo il ticket: questo è il diritto che mi è stato improvvisamente tolto, senza nessun motivo”.
Il grande compositore, l’autore de La Gatta Cenerentola, La cantata dei pastori, fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare, non aveva i soldi per pagare il ticket sui farmaci. Viveva a Napoli, in una grande casa dove pagava l’affitto, ma gli serviva solo per contenere gli innumerevoli documenti, spartiti musicali, presepi e icone della cultura religiosa popolare napoletana.
Ma nessuno si è fatto vivo per alleviare le sue sofferenze, neanche quelli che hanno raggiunto il successo, la fama e i soldi grazie alle sue opere.
Personalmente ho scoperto il genio di Roberto De Simone a vent’anni, quando ero già andato via da Napoli, e il giornale col quale collaboravo, Paese Sera, come corrispondente da Prato mi mandò alla prima al Teatro Mercadante de La Gatta Cenerentola per una recensione. Rimasi folgorato e ci tornai tutte le sere successive delle repliche.
Da allora ho seguito il percorso del Maestro, ma non avevo mai avuto il piacere d’incontrarlo di persona, fino a tre anni fa, quando venne a Roma, al Teatro Eliseo, insieme alla sua amica ed artista del cuore, Isa Danieli, per presentare il suo ultimo libro: L’Oca d’oro. Era già molto vecchio, su una sedia a rotelle, ma con lo sguardo ancora vivo.
Mi avvicinai alla fine per farmi firmare la copia del libro e, impudentemente, gli chiesi: “Maestro, ma perché non rimette in scena La Gatta Cenerentola?”. E lui: “Me li trova lei gli attori in grado oggi di recitare quella rappresentazione?”.
Lo salutai senza risposta e pensavo a cosa era diventata la musica e la canzone napoletana in mano ai neomelodici, ai Geolier, ai rapper che inneggiano alla camorra. Certo, c’è stato anche Pino Daniele...