Resiste il muro della maggioranza intorno a Santanché, no a mozione di sfiducia
- di: Redazione
Semmai ce ne fosse stato bisogno, la votazione che oggi, al Senato, ha respinto la mozione di sfiducia contro il ministro del Turismo ha dimostrato che iniziative del genere sono sempre destinate a fare una cortesia al governo (quale che sia). Perché, dati i numeri tranquillizzanti, solo un assalto armato al Palazzo d'Inverno avrebbe potuto ribaltare l'esito del voto, scontatissimo non perché tutti i componenti della maggioranza ne fossero veramente convinti, ma perché non potevano fare altrimenti, pena la messa in difficoltà di un esecutivo che forse avrebbe bisogno di una revisione in corsa.
Perché, se da un lato l'aula ha confermato la solidità dell'alleanza di governo, come dimostrato plasticamente dai baci e dagli abbracci che hanno soffocato il ministro dopo il voto, dall'altro quanto accaduto ha fatto capire che Giorgia Meloni deve stringere i bulloni del suo governo, sin troppo esposto a critiche. Che è la sola cosa di cui il governo non ha bisogno, perché, sulle ali del buon andamento dell'economia e dei riconoscimenti internazionali, tutto sembra andare per il verso giusto. Ma se domani o dopodomani una delle procure che stanno indagando sull'operato di Daniela Santanché come imprenditrice ravvisasse nei suoi comportamenti profili penalmente rilevanti, il presidente del Consiglio non potrebbe esimersi da prendere decisioni dolorose, ma necessarie, se non vuole smentire le sue convinzioni su argomenti del genere, ripetutamente sostenute in passato, ma parlando dai banchi dell'opposizione (e la differenza non è solo di collocazione fisica nel parlamento).
Resiste il muro della maggioranza intorno a Santanché, no a mozione di sfiducia
Così come resta flebile la linea di difesa ripetuta anche oggi in aula dal ministro del Turismo, secondo cui se ci sono cose su cui deve fare chiarezza esse attengono la sua sfera personale e comunque si riferiscono al periodo antecedente alla sua nomina. Ora questo ha un valore in termini assoluti, quelli della responsabilità personale davanti alla legge, ma c'è anche un profilo politico che non può essere sottaciuto, perché se il fattore temporale viene usato come scriminante (se l'ho fatto era prima di essere chiamata a fare parte del governo), a questo punto nessun reato, anche grave o infamante, potrebbe giustificare una richiesta di dimissioni se riguarda eventi antecedenti al giuramento.
Appare quindi abbastanza palese che i prossimi mesi saranno dirimenti sul futuro di Daniela Santanchè, che difficilmente potrebbe restare al suo posto in caso di rinvio a giudizio, sebbene per reati legati alla sfera delle sue attività private. Perché resistere a dispetto dei santi e della magistratura, sarebbe il peggiore boccone avvelenato per il futuro del governo. Non ingannino applausi e plausi di oggi in aula.
Le vicende del ministro (che resta innocente sino a giudizio definitivo, parlando del punto di vista penale) hanno comunque riflessi politici, quelli che il Paese non può permettere che continuino ad aleggiare sul governo.