Una morte assurda mostra, sui social, il peggio del nostro Paese

- di: Bianca Balvani
 
Domani o fra una settimana o un mese, poco importa. Chi, ad eccezione della sua famiglia e degli amici, con cui ingaggiava interminabili partite a pallone, si ricorderà di Chris Abom, il tredicenne figlio di immigrati falciato da un auto pirata mentre stava tornando a casa, nel veronese?
E' questo il nostro tempo, che si nutre di fatti che, una volta che non hanno più interesse diretto, finiscono nel tritacarne dei ricordi, nemmeno però tra quelli che lasciano il segno.
Eppure questa morte violenta - non che le altre non lo siano - dovrebbe essere d'insegnamento perché Chris poteva essere salvato, se solo l'uomo che lo ha travolto, anziché fuggire per tornare alla vita di tutti i giorni, tra casa (vive con la madre) e il lavoro, si fosse fermato per soccorrerlo.

Una morte assurda mostra, sui social, il peggio del nostro Paese

No, è fuggito e l'indomani si è presentato tranquillamente a lavorare, con la stessa auto con cui aveva ucciso il tredicenne, d'origini ghanesi, nonostante il fatto che il mezzo avesse il parabrezza danneggiato e il paraurti mostrasse i segni inequivocabili di un incidente. Ma lui, questo trentanovenne con qualche precedente penale (tra cui, guida in stato di ebrezza), è fuggito, mentre quella che era la sua vittima agonizzava, nella terrorizzante solitudine che avrà attanagliato la sua giovanissima vita.

L'ira dei medici del vicino ospedale, nel quale Chris è ormai arrivato morente, che dicono che poteva essere salvato, poco sposta in questa storia, che si aggiunge alla già lunghissima lista degli incidenti mortali che hanno alla causa soprattutto l'irresponsabilità dei guidatori, impermeabili ai continui appelli alla prudenza che vengono lanciati attraverso ai media. Guidare ubriachi, preda degli effetti di sostanze che alterano la percezione o senza alcuna remora nel pigiare forte sull'acceleratore, sembra essere la costante della maggioranza degli incidenti stradali che, quotidianamente, aggiornano le statistiche delle vittime.

Di fronte ad episodi del genere, di fronte ad eventi così drammatici, l'esecrazione e il dolore dovrebbero essere i soli sentimenti da manifestare. Però, la gente mostra il peggio, come confermano i commenti sui social sull'incidente costato la vita a Chris che non sembrano distinguere tra vittima e carnefice essendo improntati ad una difesa d'ufficio della loro parte politica e delle ideologie che la permeano.
La perenne lotta tra chi pensa di essere dalla parte del bene nei confronti di chi, ai suoi occhi, incarna il male assoluto sui social diventa una guerra di religione, dove tutto è permesso, anche strumentalizzare chi non ha colpa.

Come sta accadendo pure per Mahmoud Sayed Mohamed Abdalla, diciannove anni appena, egiziano regolare in Italia, ucciso e smembrato da due connazionali per motivi che sfuggono ad ogni comprensione, quali che possano essere. Sulla sua fine e sull'oltraggio che ha dovuto subire il suo corpo, mutilato per non consentirne l'identificazione, tutti dovrebbero solo chinare il capo e riflettere. E invece non accade perché vicende come queste, quando ad esserne protagonista (suo malgrado o per scelta) è un immigrato, diventano automaticamente occasione di scontro sul filo dell'analisi affidata a macellai della personalità umana. E non è una esagerazione, vista la costante di commenti contraddittori che ogni fatto di cronaca, soprattutto se ha una componente razziale, scatena. Quando invece, per chi crede e per chi no, dovremmo solo fermarci per un istante a riflettere, senza sentire l'impellente necessità di scatenare una rissa verbale.
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