Mercati: Regno Unito e Usa osservati speciali

- di: Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm
 

La scorsa settimana l’opinione pubblica internazionale ha seguito con attenzione la dichiarazione d’autunno del Cancelliere britannico Jeremy Hunt. Al momento, il governo inglese non si trova in una posizione facile: se si impegna a ridurre la pressione fiscale, viene criticato per i tagli ai servizi pubblici; se invece aumenta la spesa statale, l’attenzione si concentra su deficit e pressione fiscale, entrambi elevati rispetto agli standard storici. Osservando invece il miglioramento della crescita nel 2023, c’è chi obietta additando il significativo taglio delle aspettative di crescita previsto per il 2024 dall’Office for Budget Responsibility (OBR). Infatti, mentre a marzo l’OBR prevedeva una contrazione dell’economia dello 0,2% nel 2023 e una crescita dell’1,8% nel 2024, l’ultimo report dell'organismo che produce analisi indipendenti sulle finanze pubbliche britanniche ipotizza una crescita dello 0,6% nel 2023 e un semplice +0,7% nel 2024. Tutto lascia pensare a una situazione complessa sul fronte politico, nonostante il lento miglioramento della dinamica inflattiva. Chiunque sarà il prossimo Cancelliere, dovrà sperare in un miglioramento delle prospettive di crescita.

 

Crescita stagnante in Eurozona, solida negli Usa

Non è solo il Regno Unito a dover affrontare sfide fiscali impegnative. In Germania, la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che limita la capacità del governo di ricorrere a fondi speciali per colmare le lacune di spesa. In circostanze normali, il deficit di bilancio non può superare lo 0,35% del PIL – un livello che molti governi dei mercati sviluppati ad oggi possono solo sognare. Il governo tedesco cercherà un modo per aggirare questo problema, come accaduto negli anni passati, ma si tratta sicuramente di un altro chiaro indicatore della stagnazione della crescita a livello europeo.

Dall’altra parte dell’oceano, il Giorno del Ringraziamento ha portato con sé settimana di tranquillità sui mercati statunitensi, fatta salva la pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione della Federal Reserve sui tassi di interesse. Come previsto dagli operatori, i policymaker Usa sono determinati a rimanere sobri di fronte al miglioramento dei dati sull’inflazione e non c’è nulla che lasci intuire un imminente taglio dei tassi.

Una nota degna di attenzione è la differenza tra dati macroeconomici “hard” e “soft”: i primi riguardano metriche come le vendite al dettaglio o la produzione industriale; i secondi comprendono gli indicatori di sentiment e, come è facile intuire, sono in genere più volatili (vedi grafico sotto). Al momento, il divario tra dati hard e soft è piuttosto netto: mentre gli indicatori del sentiment appaiono piuttosto deboli, metriche hard come la crescita del PIL risultano solide. La nostra ipotesi attuale, che coincide con una view diffusa ormai da tempo, è che nei prossimi mesi dovremmo assistere a un rallentamento dei dati concreti.

 

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