L'idea di Europa di Mario Draghi somiglia molto a quella di Giorgia Meloni

- di: Redazione
 
Dobbiamo accettare l'Europa comunitaria, le sue logiche e i dogmi che mette alla base delle decisioni senza eccepire che, nell'architettura dell'Unione, ci sono cose che dovrebbero essere rimodulate, o anche riformate?
Non è dibattito da poco, come conferma l'intervento che Mario Draghi ha fatto al Martin Feldstein Lecture di Cambridge, nel Massachusets, e nel quale certo in più d'uno hanno rilevato contenuti che sembrano potere essere graditi e condivisi da Giorgia Meloni, che ha spesso guardato a Bruxelles, pur rispettando l'Istituzione, come un moloch che comanda e non accetta contraddittori.
Draghi ha toccato molti punti, ma su alcuni dei quali è apparsa evidente una netta assonanza con il pensiero meloniano, soprattutto quando l'ex premier ha preso ad esempio le politiche sul clima dell'Ue che, a differenza degli Stati Uniti, sembra muoversi senza avere una strategia di ampio respiro soprattutto a livello di spesa.

L'idea di Europa di Mario Draghi somiglia molto a quella di Giorgia Meloni

Draghi, su questo punto, non è andato di cesello dicendo che ''una volta scaduto il Recovery Plan, non c’è una proposta per uno strumento federale in sua sostituzione, atto a portare avanti la necessaria spesa per il clima. Le normative sugli aiuti pubblici dei Paesi dell’Ue limitano la capacità delle autorità nazionali di perseguire attivamente una politica industriale verde. Nell’inerzia, si rischia seriamente di non rispettare i nostri obiettivi climatici e, probabilmente, di perdere la nostra industria di base a beneficio di regioni che hanno meno vincoli''.

Questo quadro, per Draghi, lascia spazio a due possibili scenari. Perché, allentando ''le normative sugli aiuti di Stato'' e rilassando ''le regolamentazioni fiscali per assumerci l’onere di una spesa per gli investimenti in pieno''. si può creare una frammentazione, ''dato che i Paesi con un maggiore margine di bilancio potranno spendere più degli altri''. Come l’euro ''non può essere stabile se vengono meno ingenti parti dell’unione monetaria'', così il cambiamento del clima ''non può essere risolto se un Paese riduce le sue emissioni di anidride carbonica più rapidamente degli altri. Questo significa che non abbiamo a disposizione che un’unica opzione, la seconda: cogliere l’occasione per ridefinire l’Ue, la sua struttura fiscale e il suo processo decisionale e renderli più adeguati alle sfide che ci troviamo davanti''.

La coesistenza di esigenze comunitarie con specificità nazionali ha spinto Mario Draghi a sostenere che ''abbiamo bisogno di garantire l’affidabilità a medio termine delle politiche fiscali nazionali in un contesto post-pandemico caratterizzato da un indebitamento elevatissimo. Garantire la credibilità fiscale implica necessariamente per le regolamentazioni di essere più automatiche e che vi sia meno discrezionalità. Poiché è impossibile mettere a punto regolamentazioni adatte a tutte le situazioni che si presenteranno in futuro, un maggiore automatismo vincolerà sempre la capacità dei governi di reagire a shock imprevisti''
.
Scendendo nello specifico, per Mario Draghi ''lo spazio fiscale asimmetrico europeo – dove alcuni Paesi sono in grado di spendere molto più di altri – è sprecato, in sostanza, quando si tratta di obiettivi condivisi come il clima e la Difesa. Se alcuni Paesi possono spendere liberamente a favore di questi obiettivi, ma altri no, l’impatto di tutte le spese sarà in ogni caso inferiore, perché nessun Paese sarà in grado di arrivare alla sicurezza climatica o militare''.

''Una maggiore emissione di debito comune per finanziare questo investimento in teoria -
ha detto ancora - potrebbe espandere lo spazio fiscale collettivo che abbiamo a disposizione. Questo significa, quanto meno, che dovremmo garantire che gli Stati membri più indebitati usino lo spazio fiscale per creare una spesa comune che migliori le loro prospettive. Una possibilità, dunque, consiste nel procedere – come abbiamo fatto finora – con l’integrazione tecnocratica, apportando modifiche tecniche e sperando che le modifiche politiche seguano quanto prima. In definitiva, nel caso dell’euro questo approccio funzionò e l’Ue ne è uscita rafforzata. I costi di quella impresa, però, sono stati elevati, i progressi lenti''.

L'approccio ai problemi dell'Europa, per Draghi, non può prescindere, pensando a qualsiasi intervento di revisione del Trattato, dal ''riconoscimento di un numero in costante incremento di obiettivi condivisi e la necessità di finanziarli insieme, il che richiede una forma diversa di rappresentatività e di processo decisionale centralizzato. A quel punto, diventerà più realistico incamminarci verso regolamentazioni più automatiche. Io credo che oggi gli europei siano più pronti di vent’anni fa a imboccare questa strada, perché in verità hanno a disposizione soltanto tre opzioni: la paralisi, l’uscita dall’Ue o l’integrazione''.
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