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Manovra, la fiducia come atto finale: la Camera corre verso il sì

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Manovra, la fiducia come atto finale: la Camera corre verso il sì

C’è sempre un momento, nella liturgia della legge di Bilancio, in cui il Parlamento smette di discutere e inizia a contare. È il momento della fiducia. Ed è lì che il governo ha deciso di portare la manovra 2026, ponendola alla Camera sull’articolo 1, con l’annuncio affidato al ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Una scelta prevista, quasi obbligata, che segna l’ingresso nell’ultimo miglio di una corsa che, come ogni anno, si gioca sul filo dei tempi e sulla tenuta politica della maggioranza.

Manovra, la fiducia come atto finale: la Camera corre verso il sì

Il calendario è serrato, scandito con precisione quasi notarile dalla Conferenza dei capigruppo della Camera dei Deputati. Le dichiarazioni di voto sulla fiducia sono fissate nel tardo pomeriggio, la chiama alle 20.20, mentre dalle 22 l’Aula entrerà nella consueta seduta notturna dedicata agli ordini del giorno. Il voto finale arriverà entro le 13 di martedì 30 dicembre, con dichiarazioni di voto in diretta televisiva a partire dalle 11. È la ritualità della manovra, che si ripete uguale a se stessa, tra notti lunghe e cronometri puntati.

Il testo che arriva in Aula è quello licenziato dalla Commissione Bilancio senza modifiche sostanziali. Sabato erano ripresi i lavori con l’illustrazione dei relatori e la discussione generale, ieri il mandato finale. Le opposizioni avevano provato a incidere con un pacchetto corposo di emendamenti – circa 790 – ma la tagliola dell’ammissibilità ha fatto il suo corso. Centocinquantotto proposte sono state dichiarate inammissibili già in avvio di seduta, per carenza di copertura o per estraneità di materia. Le altre non hanno scalfito l’impianto del governo.

In Aula la discussione generale è iniziata alle 16, con una ventina di interventi. Tanti, ma non troppi. Abbastanza per ribadire le critiche dell’opposizione e le certezze della maggioranza. È il copione noto: da un lato chi denuncia una manovra “blindata”, dall’altro chi rivendica la necessità di rispettare i tempi e dare stabilità al Paese. Nel mezzo, il Parlamento che parla, ma sa già come andrà a finire.

A seguire il dibattito c’era anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, presenza non scontata ma politicamente significativa. Giorgetti ha ascoltato, incassato, difeso la linea del governo, consapevole che la manovra è il vero test di affidabilità dell’esecutivo, dentro e fuori i confini nazionali. La legge di Bilancio non è solo un insieme di numeri: è un messaggio ai mercati, all’Europa, agli elettori.

La fiducia, in questo quadro, non è soltanto uno strumento procedurale. È un atto politico che chiude il confronto e lo trasforma in un voto secco: o con il governo o contro. Serve a blindare il testo, ma anche a misurare la compattezza della maggioranza. E finora, almeno sul piano dei numeri, la tenuta non è in discussione.

Le opposizioni protestano, parlano di compressione del dibattito parlamentare, ricordano che la manovra è arrivata in Aula senza vere modifiche e con spazi di intervento ridotti. È una critica che accompagna ogni fine anno e che fotografa un dato strutturale: la legge di Bilancio è diventata sempre più un atto governativo, sempre meno un terreno di reale riscrittura parlamentare. Ma è anche il riflesso di un sistema che vive di scadenze rigide e di vincoli europei.

Martedì, con il voto finale, la Camera chiuderà la partita. Poi toccherà al Quirinale e alla promulgazione, ultimo passaggio prima che la manovra entri in vigore. Fino ad allora, il Palazzo continuerà a vivere le sue ore più lunghe, tra dichiarazioni, votazioni e sedute notturne. È il rito di fine anno della politica italiana: stanco, ripetitivo, ma decisivo. Perché dentro quelle tabelle e quegli articoli c’è la traiettoria economica del Paese per i prossimi dodici mesi. E, nel bene o nel male, da lì si riparte.

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