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Manifattura italiana, test di resistenza superato

- di: Jole Rosati
 
Manifattura italiana, test di resistenza superato
Nonostante i dazi di Trump e l’incertezza globale, il 2025 tiene. De Felice (Intesa): “Evitato il peggio, ora serve correre”.
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La tenuta che nessuno si aspettava
Non è una corsa, ma nemmeno una frenata. La manifattura italiana ha superato il primo, durissimo, crash test del 2025: dazi a raffica, scenari globali instabili e catene di fornitura in apnea. Eppure, il sistema regge. Anzi: sorprende.
Il 107° Rapporto Analisi dei Settori Industriali di Intesa Sanpaolo, presentato a Milano in collaborazione con Prometeia, fotografa un’industria che, pur rallentata, non si è fermata. Il fatturato del comparto manifatturiero dovrebbe attestarsi a quota 1.143 miliardi di euro, stabile a prezzi costanti rispetto al 2024 e in crescita dell’1,8% a prezzi correnti. In altre parole: il peggio è stato evitato.
Gregorio De Felice (foto), capo economista di Intesa Sanpaolo, lo dice senza giri di parole: “Se tutte le misure del Liberation Day del 2 aprile fossero state confermate, ci saremmo trovati in una recessione globale. Invece il sistema ha tenuto. Ora serve correre”.

Trump e il Liberation Day: un boomerang disinnescato
Il Liberation Day di Donald Trump, con il ritorno alla Casa Bianca e l’imposizione di dazi generalizzati sulle importazioni – 10% su tutto, 20% sull’Europa – ha rappresentato un colpo durissimo alla fiducia dei mercati. Un ritorno a un protezionismo esasperato, che ha costretto Bruxelles a rispondere con una raffica di contromisure, mentre Berlino e Parigi si agitavano per proteggere l’export.
Per l’Italia, che piazza negli Stati Uniti il 9% delle sue esportazioni manifatturiere, la minaccia era concreta. Eppure, grazie a un accordo transitorio negoziato a livello UE – sospensione per 90 giorni dei dazi peggiori – si è evitato lo scenario da incubo: autarchia globale, crollo della domanda, recessione sistemica.
“Con quei dazi – ha spiegato De Felice – si rischiava un blocco quasi totale del commercio internazionale. Sarebbe stato un disastro per i paesi più esposti agli Usa, come il nostro. Fortunatamente, abbiamo schivato la pallottola”.

I settori che trainano la resilienza
Non tutti i comparti reagiscono allo stesso modo. Alcuni vanno meglio di altri. Il podio del 2025, secondo il Centro Studi Intesa, è chiaro:
Farmaceutica: +2,4% a prezzi costanti. Trainata dall’export e dalla ripresa post-Covid della domanda globale di salute e benessere.
Meccanica: +1,7%, grazie a investimenti ancora forti nelle tecnologie produttive, sia in Italia che all’estero.
Largo consumo: +1,2%. Tiene l’alimentare, cresce la cosmetica, frenano i beni durevoli.
Meno brillanti, ma comunque stabili, sono i comparti legati ai beni intermedi, all’automotive e al sistema moda, ancora frenati dall’instabilità logistica e dalla concorrenza asiatica, meno esposta ai dazi americani.

Il Pnrr come rete di sicurezza
Una parte della resistenza italiana si spiega anche con la combinazione di tre fattori:
1. Un mercato del lavoro sorprendentemente vivace, che sostiene i consumi.
2. Una politica fiscale equilibrata, che evita nuove austerità ma non accende fuochi di paglia.
3. Un Pnrr che finalmente accelera, con investimenti su digitale, energia e infrastrutture che stanno mettendo benzina nel motore.
“Abbiamo oggi una cosa che non avevamo durante la crisi del debito sovrano: un sistema bancario e industriale ristrutturato, molto più resiliente agli shock esterni”, ha sottolineato De Felice.

2026–2029: la sfida vera inizia adesso
Guardando oltre il 2025, la partita si complica. Il report prevede una crescita media dell’1% annuo per la manifattura nel quadriennio 2026–2029, con un picco di dinamismo atteso tra il 2026 e il 2027. Ma i rischi sono tutt’altro che svaniti.
L’incertezza americana è ancora alta. Trump ha promesso una revisione al rialzo dei dazi se non otterrà “rispetto e reciprocità”. Inoltre, l’andamento della crescita tedesca – appena dello 0,3% nel primo trimestre – continua a pesare sull’export italiano. E c’è la questione irrisolta della transizione digitale delle PMI, su cui l’Italia resta indietro rispetto alla media europea.

La resilienza non basta
Il 2025 dimostra che l’Italia industriale sa resistere. Ma non può bastare. Lo choc dei dazi americani, parzialmente disinnescato, ha mostrato quanto fragile sia l’equilibrio su cui si regge il nostro export. Per questo, De Felice avverte: “Abbiamo evitato il peggio. Ora serve correre”. E per correre, serve visione, innovazione e un’Europa che smetta di rincorrere, e torni a dettare le regole.

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