Caso Mancini: dalla tragedia (sportiva) alle comiche finali

- di: Redazione
 
La vicenda delle improvvise e quindi inattese dimissioni di Roberto Mancini da direttore tecnico della Nazionale, con il corollario di polemiche, accuse e sberleffi, sta assumendo contorni surreali che, agli occhi dei meno smaliziati osservatori del calcio di casa nostra, potrebbero apparire come incredibili.
Ed invece non lo sono perché il movimento, da tempo in crisi di risultati, soprattutto economici, sembra non accorgersi del baratro che si apre davanti ad esso. Già perché, dimentichi di quei principi etici ed estetici che Gianni Brera aveva sublimemente riassunto nel neologismo ''eupalla'', i nostri comandanti dei vapori (perché ciascuno, comandandone uno assimilabile ad una bagnarola, si sentono autorizzati a pontificare - e questo ci può stare -, ma anche a mettere i bastoni tra le ruote di ogni possibile rifondazione) vanno avanti per la loro strada, che si traduce nella esasperata ricerca degli utili, a dispetto di passione e sentimenti.

Caso Mancini: dalla tragedia (sportiva) alle comiche finali

Una volta c'erano i proprietari di squadre che spendevano e spandevano solo per passione. Erano i ''ricchi scemi'', come li etichettò Giulio Onesti, inossidabile e inamovibile presidente del Coni per 33 anni, dalla fine della guerra in avanti. Oggi, per come è giusto che sia, vista l'evoluzione della società, soprattutto in senso economico, chi arriva a gestire una società di calcio lo fa con il solo, precipuo interesse di guadagnarci. Cosa che fanno anche altrove, ma che in Italia cozza con un sistema che vivacchia, anche perché ha impianti vecchi e poco funzionali, mentre chi ne vuole costruire di nuovi e al passo con le esigenze di una utenza che, pagando, chiede il meglio, si trova davanti a Everest burocratici da scalare.

In questa melassa, dove si ritrovano problemi economici, infrastrutturali e anche amministrativi, deve sorprendere non più di tanto che un Ct della Nazionale chiuda il suo armadietto poche settimane prima di importanti partite, spiegando poi, dopo essere stato travolto dalle critiche, di essere stato obbligato a questa decisione dal comportamento del presidente della Federazione, Gravina, accusato di avergli imposto un nuovo organigramma, da lui poco condiviso. Che poi - sempre se sono veri voci e spifferi - verso di lui siano state rivolte i canti delle ricchissime e quindi ammalianti sirene saudite poco sposta nel fatto che la sua decisione abbia mandato in tilt la Federazione, che ora si sta affannando a trovare un sostituto. Che tutti indicano in Luciano Spalletti, fresco vincitore dello scudetto e che, dopo il trionfo, aveva chiesto al suo presidente, Aurelio de Laurentiis, di essere lasciato libero.

Presto ''magnanimamente'' accordato, a patto che Spalletti si impegnasse a non allenare per almeno un anno. Un escamotage studiato per evitare di trovare l'allenatore del terzo scudetto seduto in tempi brevi sulla panchina di un'altra squadra.
Una situazione che, perfettamente normale da un punto di vista di politica calcistica, sta diventando una comica perché si contrastano, rischiando di cadere nel ridicolo, il diritto del presidente del Napoli di tutelare la società e l'interesse del movimento nazionale che, individuando in Luciano Spalletti il sostituto migliore di Mancini, si rifiuta, con la Figc, di essere assimilata ad una società.
Uno stallo messicano dove tutti i duellanti (Gravina, Spalletti, de Laurentis) si guardano tenendo il dito sul grilletto, ma aspettando che uno degli altri cominci a sparare.
Siamo caduti nel ridicolo, senza che qualcuno si sia fermato per pensare che la delicatezza del momento imporrebbe un passo indietro, quale che sia il soggetto che si convincerà a farlo.

De Laurentiis dice che la sua è una battaglia per il diritto, chiarendo che per lui la manciata di milioni che qualcuno dovrebbe pagargli (anche se il deputato sarebbe Spalletti) sono poca cosa; Gravina e la Federazione replicano sostenendo che allenare la Nazionale è una chiamata morale e, quindi, per essa si può sottostare ad alcun ricatto.
E mentre Macedonia del Nord e Ucraina sono pronti a spezzarci le reni, noi ci trastulliamo tra egoismi ed arroganze. Ma quali colpe abbiamo accumulato per meritarci tutto questo?
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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