Mancini: campione europeo di calcio, campione mondiale di cinismo

- di: Redazione
 
Nessuno può sentirsi vincolato ad un lavoro che non lo soddisfa. Ma, direbbe il saggio, ci sono modi e modi di manifestare l'insoddisfazione. Quello scelto da Roberto Mancini per lasciare la Direzione tecnica della Nazionale maggiore di calcio (ma anche il coordinamento di tutte le rappresentative italiane maschili) sembra essere un esempio di cinismo, che, mischiandosi alla spregiudicatezza e alla mancanza di rispetto verso gli interlocutori (che non è solo la Federazione, ma tutti gli appassionati italiani), ne ha distrutto l'immagine pubblica.

Mancini: campione europeo di calcio, campione mondiale di cinismo

Perché, pur se ci si potrebbe girare intorno nel tentativo di trovare definizioni meno dure o di maggiore comprensione, il comportamento che Mancini ha deciso di assumere è a dir poco disdicevole e tradisce un atteggiamento irrispettoso del movimento calcistico nazionale che, tra un mese, deve già affrontare le prime partire di qualificazione del prossimo campionato europeo. E lo dovrà fare con un commissario tecnico appena nominato e che avrà solo il tempo di andare a Coverciano per prendere possesso dell'ufficio e della scrivania per poi mettersi subito a capire chi chiamare e come fare giocare la squadra. Mentre si intrecciano voci sui possibili sostituti di Mancini e sulle motivazioni vere che sono alla base della sua decisione, crediamo sia scontato dire che non condividiamo i tempi e le modalità con cui Mancini ha fatto la sua scelta (alla quale, a volere essere semplicemente razionali, evidentemente pensava già da tempo) , soprattutto sapendo di mettere in enormi difficoltà il suo successore, che vorremmo ricordargli è un collega, non qualcuno da ostacolare. A meno che, ma a questo ci rifiutiamo di pensare, la tempistica non sia stata frutto del caso, ma proprio della volontà di accrescere la portata dei problemi del suo abbandono.

A Roberto Mancini l'Italia del pallone deve essere grata per averla riportata su tetto d'Europa dopo molti decenni, anche se la vittoria non si è coniugata con il bel calcio. Una vittoria è sempre una vittoria, ma il trofeo ha fatto forse dimenticare in fretta i gravi problemi del movimento che, con la liberalizzazione dei contratti per i giocatori europei (o presunti tali), ha visto inaridirsi il serbatoio di nuovi talenti (e anche in questo caso bisogna aggiungere 'presunti tali'). Mancini non aveva la bacchetta magica, ma il fatto che, appena pochi giorni fa, gli fosse stata affidata la responsabilità di tutta le ''filiera'' era, contestualmente, un attestato di stima e il mandato di rifondare il calcio italiano, non nella sua componente economica (le società), ma come fucina di potenziali campioni.
L'ormai ex ct ha invece deciso di levare il disturbo, lasciando l'opera nemmeno a metà, ma manco cominciata. Quasi che si sia spaventato davanti a quel che gli si chiedeva, in cambio comunque di un contratto che lo poneva sulla fascia alta della categoria, sicuramente in Italia, ma anche a livello europeo.

Verrebbe da dire che, alla luce di questi ragionamenti, mai come nel caso di Mancini vale il proverbio che al nemico che fugge si devono fare ponti d'oro, perché è questo quel che merita. Già, perché, abbandonando la barca a metà agosto - quando tutto in Italia si ferma, ad eccezione delle squadre che si preparano all'imminente campionato - , ha creato una ferita che difficilmente potrà essere sanata, ma nemmeno giustificata o peggio perdonata.
Mancini non poteva non sapere quello che le sue dimissioni avrebbero comportato e, magari ufficializzandole qualche settimana prima, avrebbe dimostrato rispetto e riconoscenza alla Federazione e al calcio italiano, che tanto gli devono, ma che tanto (troppo) gli hanno perdonato, come l'ignominia della mancata qualificazione per il mondiale.

A guardare le cose nella loro realtà, Roberto Mancini non si è solo ''limitato'' ad abbandonare l'incarico, ma lo ha fatto scientemente sapendo i problemi che si sarebbe lasciato alle spalle, allontanandosi da Coverciano, in un periodo particolare, con le modalità che appaiono quasi una fuga, forse dalle responsabilità che si era appena assunto. Si è detto che la decisione sia stata presa non condividendo, lui, la nuova distribuzione di incarichi in seno alla Federazione, ma l'ha avallata, almeno ufficialmente senza nulla eccepire.
E allora, quali sono le vere ragioni della decisione (che Mancini ci ha tenuto a fare sapere è stata frutto di una decisione personale, quasi che le dimissioni avrebbero potuto essergli imposte)? Siamo ancora in attesa di conoscerle. Ma se domani o doman l'altro dovessimo sapere che le sirene arabe sono arrivate a lambire il ciuffo bianco della capigliatura manciniana, alla critiche verso il Mancini tecnico (che, ricordiamolo, a scanso di equivoci, da allenatore ha avuto la strada spianata grazie anche alla Federazione, cui ora ha girato le spalle) si dovrebbe aggiungere qualcosa di molto vicino all'esecrazione.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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