Letta ripropone il ddl Zan, indebolendo il governo

- di: Daniele Minuti
 
Mentre la coalizione di governo va letteralmente a pezzi, tenuta insieme solo dal paura che le urne potrebbero sconvolgere l'attuale quadro politico, Enrico Letta pensa bene di dargli un'altra bottarella, mettendone a rischio ulteriormente il futuro con la riproposizione del Ddl Zan sull'omotransfobia.
Il segretario democratico lo fa rilanciando quella che ritiene, a buon diritto, una battaglia di civiltà, ma che forse necessita di tempi più lunghi di quelli, invece stretti, che Letta intende darsi e, quindi, imporre alle forze politiche e al parlamento.

Enrico Letta ripropone il Ddl Zan sull'omotransfobia

Ma il suo è un ragionamento che zoppica sin dall'avvio, perché, volendo riproporre il ddl Zan nella medesima forma per cui è stato bocciato (sia pure aprendo alla possibilità di apportarvi notifiche), non si agevola certo l'avvio di un confronto che possa portare all'approvazione. Anche perché sul Ddl la coalizione di governo è plasticamente spaccata, con Forza Italia e Lega che si guarderanno bene dal votarlo, qualche che ne sia la forma.

Si potrebbe dire che è una questione di principio, ritenendo totalmente fondati il contenuto e lo spirito del disegno di legge, ma, in questo modo, ci chiediamo come sia possibile arrivare ad un voto questa volta positivo se non chiedendo a chi era e resta contrario di rimangiarsi la posizione precedente.
L'esperienza nel delicato mondo delle trattative insegna che, prima di sedersi ad un tavolo dopo una bocciatura, dai Campi Elisi degli ideali ci si deve assolutamente calare nel mondo reale e magari essere disponibili a fare un passo indietro. Per Letta evidentemente non è così.

''Ripresentiamo il ddl Zan nella sua versione originale"
- ha detto - "per una battaglia che praticamente noi non abbiamo mai abbandonato. Siamo comunque disposti ad alcune modifiche. Per noi il campo dei diritti è fondamentale, rimane fondante nel Dna del partito. Riteniamo che sia possibile e doveroso approvare la legge contro l’omotransfobia e se non riuscissimo sarebbe una sconfitta per il Paese''.
Mettendo da parte l'argomento, sollevato già da molti, dell'opportunità di portare avanti un provvedimento altamente divisivo (non lo dichiamo noi, ma l'esito della precedente votazione) in un momento molto delicato per il Paese - tra guerra in Ucraina e crisi economica latente - , bisognerebbe capire il perché della tempistica decisa da Letta su questo capitolo della politica italiana.

Come se il segretario democratico abbia fretta di sbrigare questa ''pratica'', anche se crediamo abbia consapevolezza che potrebbe essere un ulteriore dardo al cuore del governo. Già l'intestazione stessa del ddl si presta a qualche perplessità, perché parlare di ''Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità'' porta in sé il pericolo della generalizzazione e, poi, anche della discrezionalità.

Perché, quando si parla di ''misure di prevenzione e contrasto'' si lascia campo largo anche ad iniziative che si basano sulla percezione di un evento e non su un dato di fatto, come sempre accade quando qualcosa si fa per prevenire.
E, in questo caso, c'è da chiedersi chi decide come interpretare un potenziale pericolo legato a sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Un atteggiamento, facciamo un esempio, che non si sia ancora concretizzato in un atto, merita ''misure di prevenzione'', posto che siamo nel campo dell'interpretazione?
Il problema delle discriminazioni esiste, ed è anche grave. Ma nell'ordinamento giuridico italiano esistono leggi che prevedono pene durissime. Qui sorge il sospetto che, a fronte di strumenti di contrasto esistenti ed efficaci, si stia cavalcando un argomento solo per il particolare momento storico e non invece perché, come lascia intende qualcuno, l'Italia non ha come difendere suoi cittadini vessati o peggio solo per il loro orientamento sessuale o perché fisicamente o psichicamente svantaggiati.

Le leggi ci sono e le cronache quotidiane dei tribunali raccontano di processi e severe condanne. Ammantare il lavoro dei giudici di un alone di progresso solo perché giudicano alla luce di un nuovo quadro giuridico non è che lo qualifica maggiormente.
Ma tutto questo attiene al confronto politico, che però deve essere sereno e non inquinato da condotte dettate da posizioni aprioristiche e non meditate.
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