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Tute blu, parte la sfida del contratto

- di: Jole Rosati
 
Tute blu, parte la sfida del contratto

Dopo 40 ore di sciopero si riapre il confronto sui salari
A settembre tre incontri decisivi tra sindacati e Federmeccanica
Bettini: “Tempi brevi, ma servono scelte sostenibili per le imprese”
Fiom: “Il problema non è il costo del lavoro, è la politica industriale”
Nel mirino anche dazi Usa e transizione verde: “Serve visione”

La tregua è finita: tute blu e imprese tornano al tavolo

Dopo otto mesi di silenzio, bracci di ferro e 40 ore di sciopero, la trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici si rimette in moto. È accaduto lunedì 15 luglio a Roma: Federmeccanica e Assistal hanno riaperto il tavolo con Fim, Fiom e Uilm, dando il via a un confronto che – almeno nelle intenzioni – dovrebbe essere “rapido e concreto”. Parola del neo presidente di Federmeccanica, Simone Bettini, che ha esordito promettendo “tempi brevi” e “un’agenda molto stretta”, ma senza nascondere i nodi ancora da sciogliere.

Un contratto per 1,5 milioni di lavoratori

Il contratto nazionale dei metalmeccanici, scaduto a giugno, riguarda circa 1,5 milioni di lavoratrici e lavoratori. L’ultima firma risale al 2021. Oggi, la cornice è ancora più complessa: dazi americani alle porte, transizione ecologica in corso, rischi geopolitici e margini sempre più risicati, soprattutto per le piccole imprese.

Secondo Bettini, il nuovo contratto dovrà essere “contestualizzato per ciò che ci circonda” e pensato per reggere l’urto delle trasformazioni in atto: “Vogliamo un’intesa che tenga dentro tutti, anche le aziende più piccole. Serve equilibrio tra diritti e sostenibilità economica”. L’urgenza è chiara: “La manifattura italiana è in affanno, e le nubi non mancano all’orizzonte”, ha sottolineato anche Roberto Rossi, presidente di Assistal.

Il nodo salariale: 280 contro 173 euro

Ma se la forma è distesa, la sostanza resta spinosa. Il nodo centrale, come sempre, è il salario. La piattaforma sindacale punta a un aumento medio di 280 euro lordi in tre anni per il livello C3. Le imprese propongono di mantenere l’indice Ipca al netto degli energetici importati, che porterebbe a un aumento stimato di circa 173 euro.

Non solo: Federmeccanica vorrebbe estendere la vigenza contrattuale a quattro anni. Una proposta giudicata “non sufficiente” dai sindacati. “Non si può parlare di competitività se non si valorizza il lavoro”, ha affermato Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil. E ha rincarato: “Il vero problema dell’industria italiana non è il costo dei lavoratori, ma l’assenza di una politica industriale degna di questo nome”.

“Ora servono i fatti, non solo buone intenzioni”

Lo spirito unitario del tavolo è stato riconosciuto da tutti, ma i sindacati chiedono atti concreti. “Settembre sarà decisivo”, ha dichiarato Ferdinando Uliano, numero uno della Fim Cisl. “Ci aspettiamo un confronto vero, senza rinvii né dichiarazioni di principio”. Anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, ha parlato di “ripartenza col piede giusto”, ma ha avvertito: “Servirà responsabilità da entrambe le parti, ma il tempo delle promesse è finito”.

Un calendario serrato e un’agenda piena di spine

Tre gli incontri già fissati: 11, 18 e 25 settembre. Un ritmo serrato che segnala la volontà di chiudere entro l’autunno. Sul tavolo anche welfare, inquadramenti e formazione, oltre a un adeguamento della parte economica alle sfide tecnologiche in corso.

Il presidente Bettini ha dichiarato che si partirà “dai punti che ci uniscono”, per poi affrontare con metodo le distanze. Ma il rischio di una nuova rottura resta alto. Il contesto politico è incerto, la produttività è bassa e la frenata della Germania pesa sulle esportazioni.

Dazi e transizione: una mina sotto il contratto

A complicare il quadro ci sono i dazi americani al 10%, già annunciati per fine estate. Per Federmeccanica, “avrebbero un effetto molto pesante” sulla filiera. Se si arrivasse al 30%, l’impatto sarebbe “devastante”.

Intanto, le imprese lamentano i costi della transizione ecologica e digitale. “Investire nella doppia transizione è fondamentale, ma non possiamo lasciare sole le aziende”, ha detto Stefan Pan, vicepresidente di Confindustria per l’Europa. Il messaggio è chiaro: servono politiche fiscali e industriali di supporto.

Una trattativa che vale un pezzo di Paese

L’accordo non è solo salariale. È una partita strategica per il futuro della manifattura italiana, che rappresenta un terzo dell’export nazionale e metà della spesa privata in ricerca e sviluppo.

“Ogni ritardo nella definizione di un contratto moderno, equo e inclusivo rischia di frenare tutto il sistema”, ha dichiarato l’economista Marco Bentivogli. “Oggi più che mai servono visione e coraggio: i contratti collettivi non sono zavorre, ma leve di innovazione”.

Settembre sarà una prova di maturità

Il tavolo è stato riaperto. Ma sarà settembre, con i suoi tre appuntamenti ravvicinati, a dire se si tratta davvero di un nuovo inizio o solo di una pausa tattica prima di nuove tensioni.

Il segretario Palombella ha chiuso così l’incontro del 15 luglio: “La trattativa è ripartita alla pari. Senza remore né risentimenti. Ma alla fine conteranno i risultati, non le intenzioni”. Una frase che suona come un monito: le tute blu hanno già atteso otto mesi. Ora vogliono risposte.

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