Qualcuno può dire ai francesi di non mettere becco nelle nostre faccende?

- di: Redazione
 
È uno strano destino quello che, da secoli, anche nei periodi in cui non c'erano situazioni di guerra (cosa che non significa affatto che ci fosse la pace), segna lo stato delle relazioni tra Francia e Italia, che hanno sempre vissuto sul classico filo del rasoio, soprattutto quando Parigi - che ha l'inveterata abitudine di guardare tutti dall'alto in basso - guarda in casa nostra, sentendosi autorizzata a dire la sua, anche quando nessuno ne avverte il bisogno.
Di questi rapporti mi sono occupato, da saggista, in passato parlando di francesi e italiani come di eterni duellanti, che mai perdono l'occasione di scontrarsi, spesso lasciando la ragione a metà strada, quando non la perdono del tutto. E nei secoli analizzati, mi son imbattuto in decine di casi e vicende in cui soprattutto i francesi hanno ecceduto in sgarbi e ripicche, anche se noi abbiamo azzerato tutto nella disgraziata partecipazione ad una guerra che non apparteneva, il cui esito spinse il generale De Gaulle a tramare - prima d'essere stoppato da Truman e Churchill - per annettere Valle d'Aosta e persino il Piemonte.

Polemiche sulle dichiarazioni del ministro francese Laurence Boone

Oggi è la volta di un ministro francese, Laurence Boone (economista, è stata anche ai vertici dell'Ocse, prima di essere chiamata a fare parte dell'attuale governo, guidato da Elisabeth Borne), che ha sentito l'irrefrenabile necessità di parlare della situazione italiana, dopo il voto del 25 settembre, con parole che suonano fuor di luogo, nuova conferma della supponenza che sembra aggredire i politici francesi quando ragionano sull'Italia.
La frase in questione - che ha scatenato la rabbia, ben motivata, di molti, a cominciare da Giorgia Meloni, che è apparsa a tutti come la destinataria di essa - è stata : ''Vogliamo lavorare con Roma, ma vigileremo sul rispetto di diritti e libertà e saremo molto attenti al rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto”.

Parole che spingono ad alcune domande, alle quali, purtroppo, la signora Boone non risponderà mai.
A che titolo parla dell'Italia che è uno Stato sovrano, le cui istituzioni politiche sono conseguenza di un processo democratico?
Quali sono gli strumenti di cui la Francia è in possesso per ''vigilare su rispetto di diritti e libertà'''?
Sulla base di quali notizie e considerazioni il ministro Boone ritiene che ''diritti e libertà'' siano fortemente a rischio in Italia''?
Qual è la minaccia implicita che si cela dietro l'ammonimento del ministro e dove essa sarà fatta valere?
Parigi ritiene di avere il copyright di democrazia o rispetto dei diritti civili?

Una ''sparata'' che, speriamo, sia frutto di una posizione personale perché, se fosse condivisa dal primo ministro e dal presidente Macros, la situazione sarebbe grave, molto di più di quel che si potrebbe pensare.
La Francia ha sempre ritenuto di potere catalogare gli Stati, anche quelli amici, solo sulla base di una autoreferenzialità che le consente di dare giudizi su tutto, non accettando, per converso, che altri giudichino le sue scelte e i suoi comportamenti. Ma è così da sempre e anche in tempi recenti ne abbiamo avuto la controprova con il teatrino dei brigatisti rossi in fuga anni fa dall'Italia e accolti, a braccia aperte, dai francesi. In tempi recenti sono stati arrestati, per poi essere rimessi in libertà e quindi garantiti nell'impunità loro concessa dall'allora presidente Mitterand sulla base non di una legge, ma di una posizione (la celeberrima ''dottrina'') che, per il rispetto che l'esponente socialista aveva, fu elevata al ruolo di norma, pur mancandone i requisiti.

Anche in quell'occasione la Francia si erse a giudice, sostenendo che i brigatisti non avevano avuto un giusto processo perché assenti in aula (da latitanti, con la mani insozzate del sangue di molti innocenti).
Il tempo trascorso - prima della pochade recente - aveva attenuato la frustrazione della Giustizia italiana davanti ad una distorsione del concetto di Stato di diritto, che evidentemente per i francesi è solo il loro (magari dimenticando, per pudore e vergogna, che quando si trattò di debellare l'Oas i diritti furono calpestati, in Francia e in Algeria, territorio d'oltremare, quindi suolo patrio).
Noi italiani non abbiamo mai restituito lo sgarbo, limitandoci a stupidaggini sesquipedali, come la ridicola spedizione in Francia di Di Maio e Di Battista per porgere gli ossequi dei Cinque Stelle ai ''gilet gialli'' che proprio in quei giorni stavano devastando la Francia.

Ma tornando a Giorgia Meloni, la risposta che ha dato all'intrusione di Boone in faccende che non la riguardano (come persona e come Stato) è stata anche troppo formale, pur non risparmiando attacchi alla sinistra, ritenuta la burattinaia di questa vicenda: ''Voglio sperare che la stampa di sinistra abbia travisato le dichiarazioni fatte da esponenti di governi stranieri e confido che quello francese smentisca queste parole, che somigliano troppo a una inaccettabile minaccia di ingerenza contro uno Stato sovrano, membro dell’Ue''.
Meloni avrebbe potuto dire altro e non lo ha fatto, ormai calata nel ruolo di potenziale prossimo primo ministro italiano. Anche se una risposta a tono sarebbe potuta venire magari raccontando una barzelletta.
Come quella del ''cavaliere nero'' cara a Gigi Proietti, manifesto di un'Italia stanca d'essere sempre giudicata.
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