Negli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano ha mostrato segnali di ripresa, con un incremento significativo del numero di occupati. Secondo i dati ISTAT, nel 2024 il numero medio di lavoratori attivi tra i 15 e i 64 anni ha raggiunto quota 23,2 milioni, segnando un aumento di 315 mila unità rispetto all'anno precedente. Questo dato conferma una tendenza di crescita che, pur con differenze marcate tra diverse fasce di età, livelli di istruzione, settori produttivi e aree geografiche, rappresenta un elemento positivo per l’economia del Paese.
L'occupazione in Italia secondo l’Istat: chi sono i nuovi lavoratori
L’incremento dell’occupazione ha riguardato in particolare le fasce d’età più avanzate. Il tasso di occupazione nella classe compresa tra i 15 e i 64 anni è salito al 71,3%, con un incremento di 1,6 punti percentuali su base annua. Questo dato è significativo perché evidenzia un progressivo slittamento dell’età lavorativa, complice l’allungamento dell’età pensionabile e la necessità di rimanere attivi più a lungo nel mercato del lavoro. Se da un lato si registra una maggiore inclusione delle fasce più adulte, dall’altro il mondo giovanile fatica ancora a trovare stabilità occupazionale.
Il livello di istruzione continua a essere uno degli elementi chiave per l’accesso al mondo del lavoro. I dati mostrano che nel 2023 il 65,5% delle persone tra i 25 e i 64 anni possedeva almeno un titolo di studio secondario superiore, segnando un aumento rispetto al 63% dell'anno precedente. L’incidenza del livello di formazione sui tassi di occupazione è evidente: il tasso di impiego tra i laureati si attestava all’84,3%, ben 11 punti percentuali in più rispetto a chi aveva solo il diploma di scuola superiore e addirittura 30 punti in più rispetto a chi non aveva proseguito gli studi oltre il livello secondario inferiore. Questo trend conferma come l’istruzione giochi un ruolo determinante nel garantire opportunità lavorative più solide e continuative.
Dal punto di vista settoriale, l’incremento dell’occupazione è stato trainato principalmente dal settore dei servizi, che si conferma il motore dell’economia italiana. A Milano, per esempio, nel 2022, su un totale di quasi un milione e mezzo di occupati, oltre 880 mila lavoravano nei servizi, seguiti da circa 280 mila impiegati nel commercio, negli alberghi e nella ristorazione. Questa tendenza rispecchia il cambiamento della struttura economica del Paese, sempre meno incentrata sull’industria manifatturiera e sempre più orientata verso attività legate al turismo, alla ristorazione, alla tecnologia e al terziario avanzato.
Le differenze territoriali restano però marcate. Nel Nord Italia si registra un tasso di occupazione più elevato rispetto al Mezzogiorno, con una forbice che rimane significativa. Nel 2023, il tasso di occupazione dei laureati era pari al 76,4% nelle regioni del Sud, mentre superava l’88% in quelle settentrionali. Questi numeri dimostrano come la distribuzione geografica continui a influenzare le opportunità lavorative, con il Nord che offre maggiori possibilità di impiego stabile e qualificato rispetto al resto del Paese.
Un altro aspetto rilevante è quello legato alle differenze di genere. In Italia, il tasso di occupazione femminile si attesta intorno al 55%, ben al di sotto della media europea del 69,3%. Se da una parte il numero di donne lavoratrici è cresciuto negli ultimi anni, dall’altra la distanza rispetto agli uomini rimane ancora evidente. Attualmente, le lavoratrici sono circa 9,5 milioni, mentre gli uomini occupati superano i 13 milioni. Questo squilibrio è dovuto a diversi fattori, tra cui la difficoltà di conciliare lavoro e vita familiare, la minore presenza femminile in settori ad alta retribuzione e la persistenza di barriere culturali e strutturali.
Particolarmente delicata è la situazione dei giovani. I dati relativi alla tipologia contrattuale evidenziano una diffusa precarietà tra i lavoratori più giovani. Nel 2020, meno della metà dei giovani occupati aveva un contratto a tempo indeterminato, mentre la percentuale di giovani impiegati in forme di lavoro non standard – come contratti a tempo determinato, collaborazioni o lavoro autonomo – si attestava al 19,1%. La difficoltà di accedere a un’occupazione stabile ha ripercussioni non solo sul reddito e sulle prospettive di carriera, ma anche sulla possibilità di costruire un progetto di vita, con un impatto significativo sulla natalità e sulla struttura sociale del Paese.
L’aumento dell’occupazione in Italia, quindi, va letto attraverso diverse lenti. Se da una parte la crescita del numero di lavoratori rappresenta un segnale positivo per l’economia, dall’altra persistono disuguaglianze territoriali, di genere e generazionali che continuano a penalizzare ampie fasce della popolazione. La sfida per il futuro sarà quella di garantire un mercato del lavoro più inclusivo, riducendo il divario tra Nord e Sud, favorendo l’ingresso stabile dei giovani e promuovendo una maggiore partecipazione femminile. Solo attraverso politiche mirate e investimenti strategici sarà possibile trasformare questa crescita occupazionale in un progresso strutturale e duraturo per il Paese.