L'ircocervo politico dei Cinque Stelle: nel governo, ma a corrente alternata

- di: Redazione
 
Quello che fu il più grande gruppo del Parlamento sortito dalle ultime elezioni si sta lentamente disintegrando, privando il Paese di una componente che pure ha avuto molti meriti nell'evoluzione della politica italiana degli ultimi quindici anni.
Potrebbe suonare stonata una affermazione del genere, ma, mai come in queste ore, la realtà è quella di un Movimento Cinque Stelle che ha voluto farsi partito, mancando però delle necessarie basi ideologiche (mandare a quel paese tutti non rientra in questa categoria) e riducendosi ad un'arena litigiosa in cui a prevalere non sono questioni di merito, ma di mera interpretazione delle cose che accadono.

Il Movimento Cinque Stelle prosegue nella sua ambiguità nei confronti del Governo

E sta accadendo che Giuseppe Conte (sotto l'influenza decisiva dei pasdaran del suo particolare inner circle, molti dei quali hanno dimenticato da dove venivano e cosa il ruolo di parlamentare ha dato loro) ha preso decisioni che, non entrando nel merito, hanno spaccato quello che restava dei Cinque Stelle. Il movimento, infatti, non ha subito solo la spettacolare scissione voluta dal ''traditore'' Luigi Di Maio, ma anche una lenta diaspora da parte di molti che, per convinzione, semplice tornaconto economico o perché raggiunti da provvedimenti di espulsione, hanno lasciato la barca cammin facendo.

Oggi comunque Giuseppe Conte è al centro della scena politica perché la sua decisione (non votare la fiducia è stato atto politico, checché lui si affanni a dire che era un gesto per esplicitare malesseri e protesta) ha creato le condizioni di una crisi che, sebbene non ancora ufficializzata, sembra spianare la strada allo scioglimento del parlamento, con un voto a metà autunno, settimana più, settimana meno.
Sostenere che il ''non voto'' era un atto di protesta, come dice e ridice Conte in queste ore convulse, è una affermazione che cozza con la realtà, perché nella storia repubblicana mai è accaduto che una forza di governo non partecipi ad un voto politicamente fondamentale, come è la fiducia, dicendo subito dopo che era un gesto provocatorio e simbolico, non assumendone le conseguenti determinazioni.

Se non c'erano e non ci sono le condizioni, Conte avrebbe dovuto portare il suo partito fuori dalla coalizione di governo - magari facendo dimettere, sempre che ci potesse riuscire, i ministri Grillini -, assumendosene la responsabilità, ma dando del suo gesto il giusto peso politico. Lui, invece, ha creduto di potere dare vita ad un ircocervo politico, contestando fortemente il governo, ma continuando a farne parte, dicendo che la responsabilità di questa situazione è solo ed esclusivamente di Mario Draghi.

Che oggi forse sta pensando perplesso a quando ha detto (e non una sola volta), che non ci può essere governo senza i Cinque Stelle. Una frase pronunciata probabilmente per senso pratico e non per vera convinzione, ma che oggi gli si sta ritorcendo contro, accorciando ulteriormente i residui margini per comporre il caso. Anche perché Conte non fa assolutamente nulla per restituire ai Cinque Stelle l'originaria centralità politica, portandosi sempre di più su posizioni di isolamento. Ma troppi passi sono stati fatti e tornare indietro sarebbe, da un punto di vista politico, una operazione doppiamente suicida. E ad ammazzarsi con le loro mani i grillini sembrano saperci fare.
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