Cecilia Sala: l’Iran che non si può dimenticare

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Cecilia Sala è tornata a casa. Dopo ventuno giorni nel carcere di Evin, un luogo di paura e silenzio, è scesa dall’aereo a Ciampino con un sorriso tremante. La giovane giornalista, una cronista che ha sempre scelto di guardare il mondo negli occhi, porta con sé il peso di storie che non può e non vuole dimenticare. Il suo ritorno è stato una liberazione, ma quel viaggio dall’uscita del carcere all’aeroporto è stato un percorso segnato da un dolore profondo, un possibile addio a un paese che ha amato visceralmente.

Cecilia Sala: l’Iran che non si può dimenticare

Il racconto di Sala si lega indissolubilmente al movimento Donne, Vita, Libertà. Ogni donna in Iran è un simbolo di resistenza. Obbligate a indossare il velo, limitate nei diritti, sorvegliate nei gesti più semplici: in Iran, essere una donna significa essere una guerriera, ogni giorno. Cecilia ha camminato accanto a loro, testimoniando il coraggio che si nasconde in ogni sguardo, in ogni passo.

Donne, Vita, Libertà non è solo uno slogan, è un manifesto esistenziale, un grido che nasce dalla tragedia di Mahsa Amini, una ragazza di appena ventidue anni. Mahsa è stata arrestata perché una ciocca di capelli era sfuggita al velo. Poche ore dopo, è morta sotto la custodia della polizia morale. La sua storia ha incendiato l’Iran, dando vita a proteste che hanno coinvolto ogni città, ogni villaggio. Cecilia era lì, a raccontare le piazze piene, i veli che bruciavano, i canti sotto il cielo cupo di Teheran.

Le storie di chi non si arrende

Sala non si è limitata a raccontare i grandi gesti, ma ha scavato nei dettagli, nelle pieghe delle vite spezzate e ricostruite. Ha incontrato madri che non si piegano neanche davanti alla perdita dei figli, giovani che organizzano scuole clandestine per insegnare la libertà, avvocate che si battono per le detenute senza chiedere nulla in cambio. Ogni storia è un pezzo di un mosaico più grande, un frammento di resistenza.

Nel carcere di Evin, Sala ha vissuto ciò che aveva raccontato: le donne che trovano forza nell’abbraccio, che si stringono nel buio per condividere una luce. E anche lì, tra le mura fredde, ha visto la dignità resistere alla paura, la speranza nascere da gesti minimi, come un sorriso nascosto.

Le piccole rivoluzioni quotidiane

Non solo manifestazioni e proclami: la rivoluzione, in Iran, passa attraverso le piccole ribellioni. Sala ha raccontato donne che indossano abiti colorati, che ballano in casa con le tende aperte, che dipingono le unghie di rosso. Gesti apparentemente semplici che, in un regime oppressivo, diventano atti di sfida. Ha parlato di incontri clandestini in cui si legge poesia, si ascolta musica proibita, si sognano mondi diversi.

Questi momenti, racconta Cecilia, sono il cuore pulsante di un cambiamento silenzioso ma inarrestabile. Sono le scintille che alimentano il fuoco di una libertà ancora lontana, ma sempre più vicina.

Un addio che spezza il cuore

Quel viaggio in macchina, dalla prigione all’aeroporto, è stato per Sala un susseguirsi di immagini e ricordi. Le strade di Teheran, le montagne all’orizzonte, i volti che ha incontrato e che, forse, non rivedrà mai più. Ma c’è un momento che resterà inciso nella sua memoria: l’abbraccio con una compagna di cella. Una donna che non sarebbe salita su quell’aereo, che sarebbe rimasta a Evin, prigioniera di un sistema che punisce chiunque osi alzare la testa.

Cecilia si è sentita fortunata, sì, ma anche spezzata. “Lei resterà lì,” ha detto con la voce incrinata. È una ferita che non guarirà facilmente, una spina che le ricorderà sempre l’importanza del suo lavoro.

Il giornalismo come ponte tra mondi

Per Cecilia Sala, il giornalismo è questo: essere un ponte, dare voce a chi non può parlare. Le sue parole hanno raccontato un Iran fatto di contrasti, di bellezza e dolore, di oppressione e speranza. Ma Cecilia spera che questo non sia un addio, bensì un arrivederci. Un giorno, forse, potrà tornare in un Iran in cui i diritti civili abbiano finalmente vinto la loro battaglia. Un Iran libero, in cui Donne, Vita, Libertà non sia più solo un grido di protesta, ma una realtà tangibile. In quel giorno, senza più i rischi di oggi, anche Cecilia potrà camminare di nuovo tra quelle strade, in un paese finalmente libero.
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