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Luiss Business School, Matteo Caroli: “Sostenibilità vantaggio competitivo, non semplice conformità”

- di: Redazione
 
Luiss Business School, Matteo Caroli: “Sostenibilità vantaggio competitivo, non semplice conformità”

L’intervista affronta il ruolo strategico della sostenibilità e il modo in cui la Luiss Business School integra questo approccio nella formazione manageriale. Caroli spiega come comitati scientifici e attività di ricerca guidino l’aggiornamento dei programmi e anticipino i trend globali. Viene approfondita la centralità della multidisciplinarità e dei casi aziendali reali, insieme al valore del network tra studenti, alumni e imprese. Si parla dei rischi del greenwashing per chi non adotta una strategia organica, del mutato scenario geopolitico e dell’urgenza di una cultura data driven nelle aziende italiane.

Luiss Business School, Matteo Caroli: “Sostenibilità vantaggio competitivo, non semplice conformità”

Partendo dall’idea che l’eccellenza è uno degli attributi distintivi del Made in Italy, in che modo la Luiss Business School costruisce - concretamente - percorsi formativi che non solo preparano al mercato globale, ma lo anticipano?
Nella progettazione dei nostri programmi ci avvaliamo di uno Steering Committee internazionale composto da figure di vertice di importanti business school e di istituzioni scientifiche di primo livello. È un gruppo ristretto, altamente qualificato, che incontriamo circa due volte l’anno per confrontarci sulle migliori pratiche, sugli orientamenti emergenti della formazione manageriale avanzata e sulle trasformazioni globali che influenzano il management education. Questo confronto ci consente di calibrare i nostri percorsi sulle reali evoluzioni dello scenario internazionale.
Parallelamente, operiamo con un comitato scientifico costituito da figure apicali del mondo industriale, istituzionale e professionale italiano. Questo secondo tavolo di confronto è essenziale per tradurre le esigenze delle imprese leader in modelli formativi aggiornati e realmente utili ai futuri manager.
Accanto a ciò, la Luiss Business School svolge una vasta attività di ricerca applicata - studi, analisi, osservatori finanziati da grandi aziende e associazioni - che ci permette di monitorare costantemente l’evoluzione delle competenze, del capitale umano e dei settori del Made in Italy. Le evidenze raccolte entrano direttamente nella progettazione dei programmi, così da anticipare,
e non solo seguire, le richieste del mercato.

Come si traduce nella pratica didattica l’integrazione tra sostenibilità e carriera manageriale di alto livello?
La Luiss Business School è una società benefit: tre anni fa abbiamo modificato lo Statuto inserendo obiettivi sociali e ambientali come parte integrante della nostra missione formativa ed economica. Per noi sostenibilità significa governare un’organizzazione - anche accademica - bilanciando i tre pilastri: economico, sociale e ambientale. È un orientamento identitario, non una sovrastruttura.
Questa cultura la trasferiamo nella didattica: oggi un’azienda deve certamente creare profitto, ma non può più limitarsi a questo. È necessario definire un purpose più ampio, uno scopo che inglobi responsabilità verso la società e le persone, capace di generare legittimazione esterna e coesione interna. Una leadership moderna deve possedere questa visione estesa, perché solo così può guidare organizzazioni complesse in un mondo che richiede equilibrio, compatibilità e capacità di creare valore condiviso.

In un contesto in cui innovazione, sostenibilità e internazionalizzazione sono spesso citati come “must”, quali competenze emergenti la Luiss Business School identifica come veramente distintive per le figure di domani nel Made in Italy?
Una competenza emergente cruciale è la capacità di integrare saperi differenti. Oggi un manager deve saper cogliere contributi da letteratura, storia, scienze, tecnologia e discipline economico-aziendali, trasformandoli in una visione ampia e multidimensionale. Ne abbiamo avuto un esempio recente presentando un volume che utilizza Dante come lente per interpretare i comportamenti nei luoghi di lavoro: un caso emblematico di come la cultura umanistica sia molto efficace nell’ispirare e orientare i comportamenti gestionali.
Questa attitudine viene promossa anche nella nostra produzione scientifica e nei progetti formativi: lavoriamo infatti su iniziative multidisciplinari che riuniscono esperti con background differenti, abituando gli studenti a pensare e decidere in modo integrato.
Un secondo elemento fondamentale riguarda la leadership. Viviamo una fase di trasformazione strutturale e il leader del futuro non può limitarsi a replicare schemi del passato: deve esplorare modalità di guida nuove, essere flessibile, sperimentare e adattarsi.
Per questo collaboriamo con molte imprese nella realizzazione di casi aziendali basati su problemi reali e attuali. Il processo - dall’analisi al confronto con l’azienda - e il successivo utilizzo in aula puntano a sviluppare una capacità concreta di lettura e risoluzione dei problemi, competenza imprescindibile per i manager di domani.

Il network è un acceleratore decisivo: come strutturate l’interazione tra studenti, alumni, imprese italiane d’eccellenza e partner internazionali per alimentare un ecosistema che vada oltre la semplice aula?

Ci consideriamo una comunità composta da docenti, staff, studenti e alumni, che non sono semplici ex allievi ma parte stabile dell’identità della Business School. Negli ultimi anni abbiamo osservato una crescente volontà da parte degli alumni di rimanere in contatto con la loro scuola, una tendenza in linea con i modelli internazionali più evoluti.
Per rispondere a questa esigenza abbiamo strutturato un sistema articolato di iniziative. La più recente è un ampio programma di mentorship: abbiamo selezionato un gruppo di alumni senior, con posizioni di alto profilo in aziende italiane e internazionali, che affiancano un numero ristretto di giovani dei nostri master. Il percorso prevede incontri periodici, scambi professionali e un accompagnamento personalizzato. Per i mentee è un’opportunità formativa preziosa; per i mentor è un modo per mantenere un legame attivo con la comunità e restituire parte della propria esperienza.
Coinvolgiamo inoltre gli alumni nella didattica, nelle testimonianze aziendali e in attività progettuali. Questo consolida un network verticale - tra generazioni diverse - e orizzontale - tra professionisti affini - creando un ecosistema che supera la tradizionale dimensione dell’aula.

Molte aziende parlano di sostenibilità come costretto obbligo normativo: lei, nel suo ruolo, insiste sul fatto che sia un fattore di competitività. Qual è il più grande “errore di eccellenza” che un’impresa italiana può commettere quando affronta questi percorsi formativi senza averli pensati strategicamente?
Il rischio maggiore, per un’impresa che affronta il tema della sostenibilità senza una visione strategica, è fermarsi alla sola compliance. In Europa il quadro normativo è già molto avanzato: rispettare le norme richiede impegno e investimenti, ma non basta per essere realmente sostenibili.
La gestione sostenibile implica un percorso più ampio: definire strategie in grado di generare valore economico insieme a valore sociale e ambientale, assumendosi un impegno continuativo e fondato su una prospettiva di medio-lungo termine.
Se ci si limita a iniziative filantropiche o superficiali, si rischia di scivolare nel greenwashing o nel social washing: azioni apparentemente positive ma prive di impatto strutturale, che possono anche risultare controproducenti per la reputazione dell’azienda. Per evitare questo esito è necessaria una strategia organica, coerente e sostenuta nel tempo, capace di integrare la sostenibilità nel cuore del modello di business.

Guardando al futuro, quale sarà secondo lei la frontiera dell’eccellenza formativa italiana nei prossimi cinque anni - in termini di sostenibilità, digitalizzazione, network globale - e come la Luiss Business School si sta attrezzando per guidarla?
Le logiche che hanno guidato l’economia e la formazione manageriale fino a pochi anni fa stanno cambiando rapidamente. Le tensioni geopolitiche e il riposizionamento delle grandi aree economiche mondiali stanno modificando gli equilibri globali: l’Europa rischia un ruolo più debole rispetto a potenze come Cina e Stati Uniti: non è ancora chiaro fino a dove arriverà l’aggressione russa. Tutto questo avrà conseguenze anche sul piano culturale e industriale.
In questo scenario, l’eccellenza formativa italiana assume un’importanza ancora maggiore. Occorre formare manager capaci di unire visione internazionale e radicamento locale, in grado di operare in economie aperte ma instabili e, allo stesso tempo, di valorizzare risorse, competenze e potenzialità interne al proprio territorio.
Un altro fronte decisivo riguarda la gestione data driven. Digitalizzazione e intelligenza artificiale mettono a disposizione enormi quantità di dati e strumenti evoluti per interpretarli. La capacità di prendere decisioni basate su evidenze oggettive - o di delegarne alcune all’intelligenza artificiale - diventerà un fattore distintivo tra le imprese che sapranno innovare e quelle che rimarranno indietro.
Per molte piccole e medie imprese questa sarà una sfida culturale oltre che tecnologica: integrare i dati nei processi decisionali senza perdere l’intuito, ma facendo sì che lo stesso sia sostenuto da una comprensione chiara e oggettiva della realtà.

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