Inps, Tridico: "Ancora disparità di genere, il 32% dei pensionati con meno di 1000 euro al mese"
- di: Redazione
È un Inps diversa quella che si sta mostrando agli italiani, dopo avere modificato il suo profilo operativo da ''puro Ente previdenziale previdenziale ha completato la sua trasformazione in Agenzia del Welfare nazionale''. Lo ha fatto principalmente grazie ''alla propria capillarità territoriale, alle capacità professionali e alla infrastruttura informatica''. Questo impegnativo processo è stato perfezionato nel corso di una crisi che ''ci ha insegnato che può accadere di trovarsi tutti nello stesso oceano agitato e che, dal momento che non tutti sono sulla stessa solida barca, per salvarsi occorre che ognuno collabori per la costruzione della cosa pubblica e per rafforzare la solidità collettiva. Riteniamo che gli ultimi due anni possano aver modificato la percezione dello Stato nella vita economica del Paese. Certamente, le risorse straordinarie investite in risposta ai rischi di caduta del reddito non possono e non devono diventare abituali. Ma abbiamo avviato un nuovo modo di declinare la coesione sociale, in direzione dell’universalismo''.
Inps, Tridico: "Ancora disparità di genere, il 32% dei pensionati con meno di 1000 euro al mese"
Un'Italia in cui, però e purtroppo, sussistono ancora consistenti disparità di genere nelle retribuzioni, con le donne che in media percepiscono molto meno dei loro colleghi uomini, e dove un terzo dei pensionati vive con meno di mille euro al mese.
Nel corso dell'assemblea annuale dell'Inps, il suo presidente, Pasquale Tridico, ha ribadito quali siano le due linee programmatiche lungo le quali l'Istituto intende continuare a muoversi, proattività e digitalizzazione, grazie alle quali accorciare, sino ad azzerarla, la ''distanza'' con l'utente, che deve essere sempre di più messo nelle condizioni di non sentire gravare su di sé il peso della burocrazia, del dovere sopportare un onere di cui invece l'Inps intende farsi carico.
Il presidente Tridico, nella sua relazione, ha voluto fornire un profilo per numeri dell'Inps, e quindi della realtà italiana.
Nel 2021 gli assicurati Inps, tra dipendenti e indipendenti, sono aumentati - anche rispetto al 2019, quindi prima del manifestarsi della crisi legata alla pandemia - raggiungendo quota 25,7 milioni.
''Crediamo" - ha detto Tridico - "che la tenuta occupazionale si possa ascrivere all’intervento del legislatore attraverso il sostegno alle imprese, seppure a costo di risorse straordinarie a carico della finanza pubblica. Ne è ulteriore indizio il fatto che l’intervento pubblico si sia sostituito al mercato nel momento di massima crisi ma altrettanto velocemente si sia ritirato senza che questo abbia prodotto la temuta esplosione dei licenziamenti . Il blocco dei licenziamenti è stato progressivamente superato, senza che si registrassero per questo particolari concentrazioni o livelli inusuali. Pur non esaurendosi il ricorso alla Cassa Integrazione (circa 3 milioni di beneficiari nel 2021 per un importo di circa 10 miliardi, cui andrebbero ad aggiungersi le giornate di malattia per covid e quarantene), lo strumento principale utilizzato dal legislatore è attualmente la decontribuzione. L’incidenza delle agevolazioni contributive sul totale dei contributi sociali nel 2021 è risalita in misura consistente, superando i 20 miliardi. Si tratta di un valore pari al 9,3% dei contributi sociali totali. Gli andamenti positivi del mercato del lavoro - ha aggiunto il presidente dell'Ips - trovano pieno riscontro nei bilanci dell’Istituto, dove si registra una ripresa delle entrate contributive a livelli prepandemici: nel 2021 sono risultate pari a 236.893 milioni di euro, con un aumento di 11.742 milioni (+5,2%) rispetto al dato accertato nel rendiconto dell’esercizio precedente (225.150 milioni). Il totale delle uscite correnti è risultato pari a complessivi 384.772 milioni di euro con un incremento di 7.896 milioni (+2,1%) sul corrispondente dato del 2020 (376.877 milioni ). Significativa è la graduale trasformazione della composizione delle uscite, dal momento che un quarto della spesa per prestazioni oggi attua una funzione assicurativa e di sostegno ai redditi''.
Tridico, quindi, si è soffermato sulle ombre che si stagliano sul Paese, per quanto riguarda le retribuzioni da redditi da lavoro, in particolare sulla disparità di genere che purtroppo continuano a manifestarsi, confermandosi il divario (25%) tra quelli delle donne rispetto agli uomini .
''Se si considerano i valori soglia del primo e dell’ultimo decile nella distribuzione delle retribuzioni dei dipendenti a tempo pieno e pienamente occupati, per operai e impiegati (escludendo dirigenti, quadri e apprendisti)" - ha spiegato Tridico - "emerge che il 10% dei dipendenti a tempo pieno di tale insieme guadagna meno di 1.495 euro, il 50% meno di 2.058 euro e solo il 10% ha livelli retributivi superiori a 3.399 euro lordi. La retribuzione media delle donne nel 2021 risulta pari a 20.415 euro, sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti e inferiore del 25% rispetto alla corrispondente media maschile''.
E, cosa che non può che generare degli interrogativi, soprattutto in questo periodo, dove il dibattito si è molto acceso sui sostegni a favore di chi ha meno, Tridico ha detto che ''la distribuzione dei redditi all’interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza. Per la precisione il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro/mese, considerando anche i part-time. Per contro, l’1% dei lavoratori meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale della loro quota sulla massa retributiva complessiva''.
Dalla relazione del presidente dell'Inps si rileva, poi, che nel 2021 ci sono state più persone sul mercato del lavoro rispetto al 2020 (25.683 mila persone), dato di cui Tridico ha sottolineato la positività ''sotto molti punti di vista''.
Ma con una forte pregiudiziale: "Molti dei nuovi lavoratori immessi sono impiegati per un numero ridotto di ore e percepiscono retribuzioni che non permettono ai singoli di vivere dignitosamente. I lavoratori continuativamente occupati negli ultimi 15 anni hanno salvaguardato la loro posizione: tra questi l’85% ha sperimentato una crescita reddituale nel periodo in esame. Ma guardando alla generalità degli occupati, la metà più povera ha perso quote di reddito tra il 2005 e 2020''.
Tridico ha quindi definito l'aumentata diseguaglianza nei redditi ''pervasiva'' e che ''attraversa tutte le dimensioni di genere, di età, di cittadinanza, di territorio'', conseguenza dal ''moltiplicarsi delle forme contrattuali, oggi pari a ben 1.011: troppe e spesso non rappresentative''. Una affermazione corroborata dall'evidenza dei numeri: 27 i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro ''che coprono ciascuno oltre 100.000 dipendenti e concentrano il 78% dei dipendenti privati (10,2 milioni di lavoratori); quelli che interessano più di 10.000 dipendenti ciascuno sono 95 e ad essi fa riferimento il 96% dei dipendenti delle imprese private extra-agricole (12,5 milioni di lavoratori)''.
Se la retribuzione media giornaliera per i dipendenti full-time è pari a 98 euro lordi, all’interno di questo ampio perimetro si registrano variazioni troppo marcate''. Quindi ''un riordino della disciplina contrattuale legata alla rappresentatività dei soggetti contraenti, affiancata ad un minimo salariale legale, produrrebbe un contenimento delle diseguaglianze osservate, oltre che facilitare l’esercizio della vigilanza documentale da parte di INPS sul rispetto dei minimi contributivi''. Il confronto con gli altri Paesi europei è quindi impietoso: secondo Eurostat, nel 2019, l’11,8% dei
lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2%. La percentuale di lavoratori sotto la soglia di nove euro lordi l’ora è 28%, ovvero oltre 4,3 milioni, e quasi un lavoratore su tre guadagna meno di mille euro/mese. considerando anche i part-time.
I numeri della disparità sono impietosi se si guarda alle retribuzioni annuali, dove è ''lavorativamente povero'' il 64,5% degli addetti negli alberghi e ristoranti, a fronte di meno del 5% nel settore finanziario.
''Occorre quindi" - questo l'appello del presidente dell'Inps - "cercare di introdurre correttivi che portino ad una ricomposizione della prestazione lavorativa, definendo delle griglie di regimi d’orario che aiutino le persone a conseguire un reddito dignitoso. Questi dati ci dovrebbero spingere a considerare precarietà e bassi salari una
questione prioritaria e di dignità, da affrontare immediatamente''.
Ma, a segnare differenze e discriminazioni non ci sono solo il divario di genere e la povertà lavorativa.
''Abbiamo" - ha spiegato ancora Tridico - "uno storico divario territoriale. Come dimostrano i dati sulla dinamica d’impresa degli ultimi quindici anni, il divario si è allargato ulteriormente nell’uscita dalla crisi. Nel Nord riscontriamo imprese più forti, sia per potenziale occupazionale sia retributivamente, che sembrano essere uscite rafforzate dalla crisi pandemica, mentre impressiona l’assenza di dinamica per le imprese collocate nel Sud del Paese''.
Su questi problemi il legislatore è intervenuto ripetutamente ''per tentare di correggere queste dinamiche spontanee di sistema, ricorrendo in diversi modi allo strumento della decontribuzione e del sostegno agli investimenti''.
Tridico ha quindi affrontato, con grande realismo, la difficile questione delle pensioni, definita ''un’ulteriore ragione che induce a preoccuparsi'' in merito alla povertà lavorativa di oggi. Perché, ha detto, ''chi è povero lavorativamente oggi sarà un povero pensionisticamente domani''.
Passando alle cifre, Tridico ha detto che ''al 31 dicembre 2021, i pensionati in Italia sono circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni di uomini e 8,3 milioni di donne, per circa 22 milioni di assegni pensionistici. L’importo lordo delle pensioni complessivamente erogate nel 2021 è di 312 miliardi di euro. Sebbene le donne rappresentino il 52% sul totale dei pensionati, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici''.
L’importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è 1.884 euro lordi, del 37% superiore a quello delle donne, pari a 1.374 euro. Nel 2021, il 40% dei pensionati ha percepito un reddito pensionistico lordo inferiore ai 12.000 euro, dato che scende al 32% se consideriamo integrazioni al minimo, trasferimenti e maggiorazioni. Da un’analisi del 20% più povero tra i pensionati (fino a 10.000 euro annui) emerge che solo il 15% di loro in questa fascia riceve un assegno sociale e il 26% una pensione ai superstiti. Quasi il 60% percepisce una pensione di vecchiaia o anticipata dal Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, il che riflette il fenomeno della povertà lavorativa che hanno sperimentato nei decenni precedenti, in cui erano attivi'.
Anche qui si ripropongono le disparità di genere, con le donne ''ad essere ripetutamente penalizzate: hanno avuto un allungamento della vita lavorativa per allinearla a quella degli uomini, andando in pensione più tardi di quanto si aspettassero al momento in cui entrarono nel mercato, pur avendo lavorato meno a lungo e tipicamente meno ore, ad una paga oraria/settimanale inferiore a quella degli uomini. La medesima condizione contraddistingue i lavoratori
poveri di oggi. Il problema dei futuri pensionati poveri si intreccia già oggi con il problema della sostenibilità del sistema pensionistico nel medio periodo. La struttura demografica della popolazione italiana ci mostra come l’onda dei baby boomers stia arrivando alla pensione e come, per contro, la base contributiva si stia restringendo. Quand’anche le politiche di contrasto alla denatalità risultassero efficaci, i benefici di nuovi contribuenti che entrano nel mercato del lavoro si verificheranno tra 20-25 anni''.
Tridico si è quindi a lungo soffermato sul Reddito di cittadinanza, al centro di continue politiche tra difensori e detrattori, definendola ''misura che ha agito su larga scala nella popolazione italiana''.
Nei primi 36 mesi di applicazione della misura (aprile 2019-aprile 2022) ha raggiunto 2,2 milioni di nuclei familiari per 4,8 milioni di persone, per un’erogazione totale di quasi 23 miliardi di euro. L’importo medio mensile risulta per il mese di marzo 2022 pari a 548 euro per nucleo familiare, molto differenziato tra Reddito di cittadinanza e (577 euro) e Pensione di cittadinanza (248 euro).
Due terzi dei percettori, ha spiegato, è costituito da persone che non hanno mai lavorato, minori, over 65 e circa 200.000 disabili, e che solo il 33% dei percettori in età lavorativa ha un riscontro amministrativo di partecipazione al mercato del lavoro negli anni 2018 o 2019. ''Dall’esame dei dati relativi ai percettori in età lavorativa con undici o dodici mensilità percepite nell’anno 2021, risulta occupato - ha detto ancora il 20% degli individui (pari a 393mila persone) con il 40% di nuclei familiari coinvolti e non c’è un incentivo ad uscire dal mercato: infatti il numero dei percettori che lavorano rimane stabile o aumenta nel tempo. Emerge anche che i percettori “stabili” di RdC che lavorano sono impiegati in prevalenza, in circa il 60% dei casi, con contratti a termine e a tempo parziale. È quindi grazie anche alla presenza del RdC che una parte cospicua dei working poors riesce a restare sul mercato e ad ottenere un reddito che permette loro di sopravvivere''.
''Oggi" - ha detto Tridico chiudendo la sua relazione - "sembra che il benessere dei cittadini sia tornato al centro dell’azione politica: l’UE ha dato prova di coesione, dimostrando che è possibile un’azione fiscale espansiva, collettiva e solidale oltre che monetaria, e lo Stato italiano sostiene famiglie e imprese con azioni sempre più mirate e tempestive. Uno Stato al servizio di tutti i cittadini, e non di interessi particolari. Ma 'lo Stato al servizio del cittadino' rimane uno slogan privo di contenuto se non viene accompagnato da un salto di qualità nella capacità di intercettare i nuovi bisogni, di comunicare l’esistenza delle prestazioni esistenti, di semplificarne l’erogazione migliorandone i controlli ex-ante, di rendicontarne l’utilizzo in tempo reale. Questa è la sfida che l’Istituto sta affrontando e che si pone per i prossimi anni, contribuendo alla svolta strutturale a cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci ha indirizzati: a cominciare dalla creazione di 'lavoro buono' e dignitoso per tutti, soprattutto per i giovani, senza il quale, come ha più volte ricordato il nostro Presidente della Repubblica, non potrà esserci 'la ripresa che vogliamo', lo sviluppo che l’Italia attende e che merita''.