Lo spettro dell'inflazione si allunga sui Paesi che stanno uscendo dalla pandemia

- di: Brian Green
 
Mentre la pandemia comincia a fare meno paura (anche se non è il caso di abbassare la guardia, pena una nuova ondata), c'è un altro spettro che si aggira sullo scenario dei Paesi più ricchi. Uno spettro che non si può sottovalutare, soprattutto perché colpirebbe le economie che stanno ora prendendo un po' di respiro, dopo oltre un anno e mezzo di enormi sofferenze. È l'inflazione che oggi è solo un timore, ma che potrebbe mettere in serie difficoltà molte economie. I segnali ci sono tutti e destano preoccupazione. Uno degli indicatori principali, quello legato al mercato immobiliare, è tra i maggiormente monitorati. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito i prezzi delle case sono schizzati e ormai hanno raggiunto i livelli precedenti alla ''bolla'' del 2008. Materie prime come il rame stanno raggiungendo livelli record, mentre la crisi mondiale dei microchip sta avendo pesantissimi contraccolpi in tutto il mondo, con alcune Case automobilistiche costrette a sospendere, per periodi più o meno lunghi, la produzione di alcuni stabilimenti.

Non si tratta più di ipotesi o elaborazione di possibili scenari futuri perché la macchina dell'inflazione sembra essersi già messa in moto. La Germania sta già facendo un paio di conti e, in base al trend che si registra, prevede che, a fine 2021, l'inflazione - con l'aumento dei prezzi - avrà superato la soglia del 3%.
Una percentuale che sta quasi a metà delle previsioni che sono state fatte per l'inflazione negli Stati Uniti (+4,4%, il livello più alto dal 2008) ed eurozona (+ 2%) limitatamente al mese di aprile. Per tutti si tratta di un evento atteso, considerato come una ineludibile conseguenza della ripresa della domanda, con ''l'inizio della fine'' della pandemia, e dell'enorme massa di stimoli fiscali e sostegni economici alle aziende in crisi.

L'analista economico Luis Doncel, in un dettagliato articolo su El Pais, descrive la situazione attuale e le prospettive in questo modo: ''Gli economisti lamentano da anni l'incapacità delle banche centrali di rilanciare l'inflazione, intenzionate a rimanere ben al di sotto del 2% considerato sano. Quindi, tutte le preoccupazioni sono state riassunte in una parola: giapponesizzazione, cioè crescita economica, prezzi e tassi di interesse eternizzati a livelli prossimi allo zero . Ma la pandemia, come in tante altre cose, ha anche capovolto l'economia. E ora la paura è esattamente l'opposto: un surriscaldamento eccessivo che costringe le banche centrali a cambiare bruscamente passo, punendo così i paesi più indebitati''.

Insomma, la situazione che si è determinata vive una sua contraddizione, perché le preoccupazioni dei Paesi di una eccessiva stagnazione dei consumi interni - a causa delle difficoltà economiche derivate dalla pandemia e da divieti e prescrizioni - ora hanno come contraltare quelle per un impennarsi di numeri della inflazione. Che ora mette paura agli Stati Uniti, con alcuni influenti economisti che hanno attaccato la Fed, che è accusata di di creare un "pericoloso compiacimento" nei mercati finanziari per effetto della sua politica monetaria giudicata eccessivamente espansiva. Il panorama europeo è diverso per una serie di considerazioni. La prima è che l'economia ha reagito con tempi diversi alla crisi, anche in considerazione della valanga di miliardi di dollari (anche come sgravi fiscali) che l'Amministrazione Biden ha messo in campo. Ma qualche segnale è già arrivato. Eurostat, nel suo report di ieri, ha reso noto che i prezzi dell'UE sono aumentati del 2% a marzo e dell'1,6% nella zona euro, il livello più alto degli ultimi due anni.
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