Fusioni, veti e scosse giudiziarie: chi comanda davvero in banca.
Il 2025 ha lasciato dietro di sé un’Italia bancaria che assomiglia più a una scacchiera dopo una partita feroce che a un settore finalmente assestato.
Sul mercato alcune operazioni si sono chiuse “sulla carta”, altre si sono spente per attrito politico-regolatorio, altre ancora continuano a produrre effetti a cascata: ricorsi, valutazioni delle autorità, tensioni con l’Europa, e soprattutto una domanda che nel 2026 diventa inevitabile: chi detta davvero le regole del gioco?
Il campo di battaglia: quando il mercato incontra lo Stato
Nel grande risiko dell’ultimo anno, la parola più pesante non è stata “sinergie” ma golden power:
lo strumento con cui il governo può imporre condizioni o fermare operazioni considerate strategiche.
Il punto politico, oltre che finanziario, è chiaro: l’idea di un consolidamento “solo di mercato” si è scontrata con l’intervento pubblico,
generando un precedente che pesa su ogni dossier che entra nel 2026.
“Non è una partita solo tra banche: è una partita tra poteri.”
Dalle manovre su Anima al nodo Banco BPM
Uno dei tasselli più osservati è stato quello legato al risparmio gestito: chi controlla la filiera del wealth e dell’asset management
controlla margini, clientela e una parte decisiva della redditività bancaria.
In questo perimetro, le operazioni (e i tentativi) che hanno coinvolto Anima e l’area di Banco BPM
hanno mostrato quanto sia diventata centrale la “seconda gamba” del business: non solo credito, ma gestione di patrimoni.
Unicredit e lo stop: la miccia regolatoria
Il braccio di ferro più rumoroso è stato quello che ha visto Unicredit alle prese con lo stop e le condizioni
legate ai poteri speciali. Il risultato non è stato soltanto l’arresto di una specifica traiettoria, ma un segnale a tutto il comparto:
nel 2026, chi progetta una grande operazione dovrà fare i conti con un doppio tavolo, mercato e politica,
con Bruxelles pronta a osservare la compatibilità di certe scelte con le regole europee su concorrenza e libertà di capitali.
Il colpo più sorprendente: Mps e la partita Mediobanca
La mossa che ha cambiato la percezione del risiko è stata l’avanzata di Mps nell’area di Mediobanca.
Per la finanza italiana è un passaggio simbolico: un istituto che negli ultimi anni ha dovuto ricostruire credibilità e bilanci
si è ritrovato al centro di una partita che tocca governance, salotti buoni e catene di controllo.
“Qui non si tratta di una semplice acquisizione: è un cambio di gravità del sistema.”
Il 2026 non è la pace: tre fronti ancora aperti
- Governance: consigli, patti e equilibri azionari restano fragili. Le operazioni chiuse non sempre sono “digerite” sul piano interno.
- Giustizia e contenziosi: tra esposti, verifiche e ricorsi, alcune partite rischiano di trascinarsi più a lungo delle trattative.
- Europa e vigilanza: l’attenzione di Bruxelles e delle autorità (nazionali ed europee) può cambiare tempi e perimetri delle operazioni.
Perché la stabilizzazione è difficile
Il consolidamento bancario è spesso raccontato come una corsa verso l’efficienza. In realtà, in Italia è anche un tema di identità
(banche radicate sui territori), di politica industriale e di sicurezza economica.
E quando più livelli di potere si sovrappongono, il rischio è che il sistema entri nel 2026 con due velocità:
una che corre nelle sale operative e nei roadshow, e una che frena tra norme, pareri, condizioni e reazioni istituzionali.
Che cosa guarderanno investitori e mercati nel 2026
Tre indicatori saranno il termometro vero: chiarezza regolatoria (soprattutto sull’uso dei poteri speciali),
solidità dei piani industriali (sinergie credibili, costi e ricavi reali), e stabilità degli assetti di comando.
Perché dopo un anno di battaglie, il mercato vuole capire se il nuovo disegno è strutturale o solo una tregua provvisoria.