Gran Bretagna: taglio delle tasse? Al momento non se ne parla nemmeno

- di: David Lewis
 
Svegliarsi e guardare, sopra Londra, il solito cielo grigio, che minaccia pioggia, e una temperatura bassa che certo non sorprende, non è che sia di buon auspicio per il fine settimana. Ma in fondo ci siamo abituati.
Quello a cui non eravamo certi preparati è stata la doccia fredda che oggi ci ha riservato il cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt, che ha mandato all'aria le nostre speranze che, per una volta, le promesse dei nostri governanti non fossero le solite vuote parole, gettate lì, ma senza alcuna voglia di farne una cosa concreta.
Cos'è che Hunt ha detto di così brutto? Per i comuni cittadini tanto, forse non per gli economisti e per chi di queste cose se ne intende. Ma per noi è stata una sorpresa.

Gran Bretagna: taglio delle tasse? Al momento non se ne parla nemmeno

Cercando di riassumere, Hunt ha detto ai britannici che il tanto atteso taglio delle tasse non arriverà tanto presto, comunque non prima di avere sconfitto l'inflazione. Una cosa che, capendone qualcosa di conti e percentuali, non è che sia folle perché l'inflazione si sta divorando gran parte dei nostri stipendi. Anzi, mi correggo, peggio perché, visto che quello che ieri compravi a ''x'' oggi lo compri a ''x + qualcosa'', costringe i britannici a imboccare una delle strade di un bivio: tagliare le spese, magari riducendo le quantità oppure optando per prodotti di qualità inferiore o andare a intaccare i risparmi. Due opzioni che certo non rendono felice il cittadino medio perché, nel primo caso, impone un mutamento delle proprie abitudini, e, nel secondo, vanifica l'oculatezza con cui si è gestito i propri introiti.

Fatto sta che nell'un caso e nell'altro, anche questa volta è la gente a pagare. Ma c'è una cosa che dà più fastidio ed è che non appena insediatosi a Downing Street Rishi Sunak aveva detto che avrebbe dimezzato il tasso di inflazione nel corso di quest'anno. Ma, dalle parole di Hunt, ci capisce benissimo che questo traguardo non è realmente a portata di mano, lasciandoci tutti nella piena consapevolezza che non c'è nulla di più volatile delle promesse di un politico. L'inflazione, ad ottobre, è arrivata a +11,1 per cento (il massimo degli ultimi quattro decenni), e, anche se sta rallentando, questo processo è molto lento, e comunque certo non capace di spegnere il fuoco delle proteste. Elencare chi e per quanto tempo ha protestato reclamando stipendi più alti per fronteggiare l'inflazione è un esercizio quasi doloroso perché non c'è stato un settore pubblico che ne sia rimasto immune, dai trasporti alla sanità. E questo, sempre capendo benissimo le ragioni di chi sciopera e protesta, ha un costo che su qualcuno deve essere pure scaricato. Appena qualche giorno fa la Royal Mail (devastata dagli scioperi sin dalla scorsa estate) ha quantificato i danni subiti per effetto delle proteste in circa 200 milioni di sterline.

Ma il problema non è solo questo perché le proteste e gli scioperi non hanno fatto avvicinare le posizioni, che restano parecchio distanti tra le richieste dei lavoratori e le proposte dell'azienda. C'è poi un altro elemento che non bisogna mai dare per scontato: l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue, non entrando nelle ragioni di chi l'ha voluto e che ha cercato di opporvisi, ancora oggi ha uno strascico di problemi lunghissimo. Lo sanno tutti e lo sa a maggiore ragione Jeremy Hunt, che è ben consapevole che quasi tutti gli economisti sono d'accordo nell'affermare che la Brexit ha complicato parecchio la vita delle imprese britanniche che voglio avere rapporti commerciali con l'Ue. Per il cancelliere dello Scacchiere, i cambiamenti consentiti dalla Brexit aiuterebbero a ''rendere la Gran Bretagna la prossima Silicon Valley del mondo'' in materia di tech, green economy e scienze della vita.
Una frase ad effetto, che però non è che convinca molto tutti. Come le aziende, che hanno fatto la ''solita'' domanda: belle parole, ma dove sono i contenuti?
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