Il governo, dopo Pontida, è ancora unito?

- di: Redazione
 
Lo spettacolo andato in scena ieri a Pontida, con Matteo Salvini che ha voluto mostrare, con mesi di anticipo, quale sarò la sua scaletta politica in vista delle elezioni europee del prossimo anno, non ha reso un grande servizio al governo e a Giorgia Meloni che, nelle ore in cui visitava Lampedusa con la presidente della Commissione europea, von der Leyen, era contestata nelle sue politiche sull'immigrazione dal cuore verde e padano della Lega.
Non che le cose dette e ascoltante sul ''sacro pratone'', come lo chiamava con orgoglio Umberto Bossi (la cui eredità politica è stata mandata definitivamente in naftalina da Salvini), fossero completamente inattese, ma il fatto che, sul raduno, siano state fatte aleggiare, di proposito, le tesi più estremistiche del movimento certo non ha fortificato il governo che ora, oggettivamente, deve fare i conti con una Lega sempre più recalcitrante a stare dentro i paletti di una azione politica che, pur se nominalmente condivisa, è soprattutto dettata dal presidente del consiglio.

Il governo, dopo Pontida, è ancora unito?

Ma il fatto stesso di esibire a Pontida un campione dell'anti-europeismo, quale Marine Le Pen, mentre Meloni cercava nella presidenza della Commissione europea una sponda per affrontare il problema dell'immigrazione irregolare e non più sostenibile dal punto di vista dei numeri, tutto è sembrato fuorché una coincidenza, cercando di marcare, già oggi, un territorio politico in vista delle europee, che saranno giocate da Salvini parlando alla pancia del Paese e, quindi, alimentandone le paure, vecchie e nuove. A cominciare da quella del ''diverso'', e non solo di quello che ha un colore della pelle diverso, una lingua diversa, una religione diversa, e ci fermiamo qui.
Non è certamente un caso se, tra quelli che hanno partecipato al raduno (pur se bisogna sempre mettere in conto che qualche ''buontempone'' ci può sempre essere), c'è stato chi ha cercato di fare passare il messaggio più estremo, che non è stato solo quello di respingere i migranti con ogni mezzo, ma anche di ricreare quel clima di separazione morale tra Nord e Sud, quasi marcando una supposta superiorità etnica di cui non si sentiva parlare da parecchi anni e di cui, naturalmente, non si sentiva affatto bisogno.

La Lega non è certamente questa, ma è chiaro che, se tornano a manifestarsi quei sentimenti che avevano fatto da traino ai suoi successi nel Nord del Paese, è un segnale che, seppure con la giusta tara su numeri e qualità dei singoli, che non può essere sottovalutato o, peggio, fatto passare per episodi folcloristici.
Perché parlare di invasione (che i numeri non confermano, anche se il fenomeno è molto preoccupante) non aiuta certo a trovare una soluzione che, per essere efficace e fattibile, deve avere il consenso e l'apporto di tutti. E se, a dismettere per un giorno, i panni del moderato è persino il presidente del Veneto, Luca Zaia (''L'Europa non può considerare Lampedusa come confine italiano. La Von der Leyen vada pure a Lampedusa ma si ricordi che deve anche tornare a casa a risolvere il problema"), ecco che qualche retropensiero bisogna pure farla. Saranno pure, tra Salvini e i suoi (presunti) proconsoli, delle parti in commedia, ma bisogna tenerne conto, se si vuole capire quali saranno le mosse future del vicepremier leghista.

Giorgia Meloni
, da parte sua, consapevole che la lunga volata per le europee è già partita, deve, ad un lato pararsi dagli attacchi che, da destra, le porta Salvini (che cerca di erodere il consenso a Fratelli d'Italia), ma dall'altro deve dimostrarsi dialogante con l'Europa, il cui contributo è decisivo. Quella stessa Europa, cui Meloni si rivolge chiedendo, è attaccata da Salvini e dalla sua ospite francese. La cui presenza a Pontida è stata snobbata da Antonio Tajani che, da New York, ha fatto capire che Salvini può invitare chi vuole, ma che le alleanze non può certo imporle il leghista.
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