Il governo Draghi all'ennesima prova

- di: Redazione
 
La giornata di oggi è importante per il governo Draghi. Importante, come tutte le verifiche, ma non decisiva perché alla fine resterà in sella, forse dopo qualche aggiustamento, qualche promessa, ma niente di più.
E non perché il governo stia facendo cose eccezionali, oltre la normale gestione di una situazione di crisi, ma per il solo motivo che decretarne la fine sarebbe una follia, addebitabile solo a ripicche o alla ricerca di vendette personali, che sarebbero viste da tutti come un tradimento, ad eccezione di pochi. Parliamo del popolo ribollente dei social, cui si dà troppa attendibilità, come se gli strilli siano consensi moltiplicati a seconda dei decibel usati per asserire della cose che altrimenti passerebbero in silenzio.

Si prospetta un'altra giornata cruciale per il Governo Draghi

Questa settimana inizia con due appuntamenti politici in agenda. Il primo, per importanza, è l'incontro tra il presidente del Consiglio in carica e quello che lo è stato e che sembra non avere dimenticato le circostanze del suo allontanamento. A meno che la notte non abbia portato il classico consiglio, oggi Giuseppe Conte cercherà di fare la voce grossa, dicendosi offeso per le (ipotetiche) manovre intorno alla sua persona, sostenute soprattutto dal quotidiano fiancheggiatore dei grillini, e ponendo alcune condizioni affinché la presenza dei Cinque Stelle nell'esecutivo resti organica (ovvero dentro).
Se tali condizioni sono quelle di cui dibattono i grillini al loro interno (intangibilità del reddito di cittadinanza; superbonus e aumento degli stanziamenti contro il carovita), i margini per comporre la presunta spaccatura sono veramente esigui. Anche perché pretendere di accettare acriticamente la prosecuzione del reddito di cittadinanza senza apportare i necessari aggiustamenti, significa non vedere le evidenti falle nel meccanismo di erogazione, deciso per raccogliere consensi e non certo con principi di equità.

Ma, alla fine, non dovrebbero essere questi i punti su cui rompere, perché sembrano essere solo un pretesto per fare la voce grossa in una situazione in cui i grillini si sono cacciati da soli, assumendo posizioni che sono accettabili solo da loro stessi perché, visti dall'esterno, appaiono solo il sintomo di una confusione che è antica e che affonda le sue radici nell'origine stessa del partito, nato in funzione dell'anti-politica e finito per essere schiavo del sistema.
Un quadro di fluidità che è reso ancora più sconcertante se si guarda alle esternazioni di Beppe Grillo, sempre più prigioniero del suo personaggio che, peraltro, fa sempre meno ridere, se questo è ancora il suo obiettivo: indurre alla risata. In un partito che parlava di democrazia diretta, di partecipazione, la presenza di una figura come il ''garante'' che interviene su questione vitali non facendo capire nulla è la triste fine di una parabola cominciata quando il movimento selezionò i suoi uomini e donne ''migliori'' con un casting non degno nemmeno del peggiore reality.

Oggi quindi Conte ha davanti a sé un'impresa: dire cose coerenti con il patrimonio di idee del movimento, allontanando il sospetto che a spingerlo sia il risentimento personale, plasticamente rappresentato dalla ridicola e imbarazzante conferenza stampa davanti a palazzo Chigi, da cui era stato appena ''espulso''.
Nell'agenda di oggi c'è anche il vertice leghista, convocato da Salvini, più che altro per coinvolgere i suoi in una politica condivisa e non, come è stato sino ad oggi, frutto solo e soltanto delle sue iniziative.
La Lega, nel volgere di pochissimi mesi, è diventata un partito di media grandezza, nonostante il fatto che il suo leader la descriva ancora il capofila del centrodestra, mostrandosi convinto di potere guidare la coalizione. Era un grande partito almeno sino a quando Salvini non s'è fatto ingolosire dalla possibilità, che vedeva a portata di mano, di aumentare prestigio e peso personali, dimenticando che la politica italiana è cosa ben diversa da gestire se la si esercite come missione o come mezzo per saziare la propria sete di potere.

Il concetto che è stato ripetuto in queste ore è che Matteo Salvini si trova davanti alla necessità di ''stringere i bulloni'' del suo partito, dimenticando però che è stato proprio lui ad allentarli quando, ubriacatosi di successo, ha pensato che poteva fare tutto e da solo. La Lega non è ''solo'' Salvini e di questo solo ora, solo dopo avere sperperato voti e consenso, sembra che se ne sia accorto anche lui. La riunione di oggi potrebbe servire ad un chiarimento, che deve passare per una gestione del partito non collegiale (questo Salvini non lo permetterebbe mai), ma che tenga conto di realtà che sono, politicamente, diverse da quella monodimensionale che lui ha in testa e che lo vede sempre e comunque da solo a spostare i soldatini di piombo.
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