Il Gladiatore 2: vietare i sequel

- di: Bruno Chiavazzo (giornalista e scrittore)
 

Ieri sono andato a vedere Il Gladiatore 2 e avrei fatto meglio a starmene a casa e vedere Sinner che demoliva anche l’americano Fritz. Ma il film durava due ore e mezza e a Roma devi uscire almeno un’ora prima per trovare il parcheggio e scansare i pazzi al volante che imperversano anche la domenica, per cui, se non vuoi tornare a casa a mezzanotte, mi è saltato l’intero pomeriggio.

Il Gladiatore 2: vietare i sequel

Anyway, che dire? L’ho detto nel titolo: vietare i sequel. Ridley Scott torna dopo 24 anni dal primo da incorniciare, per buttare lì una cosa sconclusionata, fatta al 90% di computer grafica, di personaggi allucinanti, di imperatori queer, di sangue a carrettate, rinoceronti trasformati in panzer della wermacht e, soprattutto un protagonista, Paul Mescal (ma dove l’ha preso?), che all’originale Russel Crowe, non potrebbe neanche pulire i calzari prima di entrare nell’Arena.

Una sceneggiatura sovrapponibile alla prima con la pensata che stavolta non è un generale che diventa schiavo e gladiatore, ma addirittura un principe romano che diventa gladiatore. Imbarazzante, due ore e mezzo di effetti speciali (a volte anche un po’ abborracciati), il Colosseo trasformato in una tinozza con battaglie navali e squali che volteggiano come condor subacquei, un kitch da antologia che non ci saremmo mai aspettato da chi ha diretto Blade Runner.

C’è anche Denzel Washington, per me uno dei più grandi attori viventi, che accetta di recitare (si fa per dire) in un film in cui non avrebbe mai dovuto partecipare. Impersona il proprietario dei gladiatori che nel primo era interpretato da Oliver Reed (Proximo), trasformato in un transgender con tanto di rimmel, orecchini e anelli da far invidia alla Cleopatra di Liz Taylor dei tempi migliori, che vuole diventare imperatore.

Insomma, un guazzabuglio senza capo né coda.

Qualche critico ha avuto il coraggio di dire che Il Gladiatore 2 sarebbe una metafora dell’America imperiale, decadente e dark, che ci aspetta dopo la vittoria di Trump. Se così fosse il personaggio di Washington sarebbe, nella realtà, Elon Musk in versione LGBT che fa proprie le parole dell’ultimo discorso di Macrinus (alias Denzel) per giustificare il suo desiderio di potere: “Roma deve cadere e io devo solo darle una spinta”.

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