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L’Italia che i giovani lasciano, e quella dove scelgono di tornare

- di: Marta Giannoni
 
L’Italia che i giovani lasciano, e quella dove scelgono di tornare

Fuga da Sud e grandi città, rinascita nei centri medi e di frontiera.

Un Paese che non trattiene più i suoi giovani
Nel 2024 191.000 italiani hanno lasciato il Paese, e di questi 156.000 erano giovani sotto i 35 anni, spesso con titoli di studio elevati. Un esodo silenzioso ma inesorabile, che secondo i dati ISTAT (+36,5% rispetto al 2023) colpisce non solo il Sud, ma anche le metropoli dove una volta si andava per “farsi una vita”.
Il nuovo Rapporto Italiani nel Mondo 2024 della Fondazione Migrantes parla chiaro: “Le partenze giovanili sono sempre meno ‘di passaggio’ e sempre più definitive. Non stiamo assistendo a un’esperienza di mobilità: è disillusione”.

Dove si parte: la mappa delle città che respingono
Non è solo il Sud a perdere giovani. Milano, Roma, Torino e Bologna – da sempre simboli di mobilità interna e attrattività – iniziano a registrare una disaffezione strutturale. Gli affitti alle stelle, il lavoro sottopagato e un welfare insufficiente stanno svuotando i centri urbani di una generazione che oggi preferisce spostarsi direttamente all’estero.
Secondo un’indagine condotta da Eumetra e JobPricing, nel febbraio 2025, il 68% dei giovani laureati italiani prenderebbe in considerazione un trasferimento fuori dal Paese entro i prossimi tre anni. E le destinazioni più ambite non sono più solo Londra e Berlino, ma anche città “minori” europee come Porto, Lione, Cracovia e Lubiana, dove la qualità della vita è alta e il costo è sostenibile.

Dove si arriva: le città che scommettono sul futuro
Nonostante tutto, c’è un’Italia che attrae. È quella fatta di province medie, città di confine e territori che investono su università, coworking e innovazione sociale. Secondo la classifica della “Qualità della vita generazionale”, le città migliori per i giovani sono Gorizia, Ravenna e Forlì-Cesena, seguite da Trento, Udine e Pordenone.
Non si tratta di miracoli, ma di politiche mirate: accesso a spazi pubblici rigenerati, incentivi per startup locali, attenzione alla mobilità e ai bisogni culturali dei giovani. Ravenna, ad esempio, ha avviato nel 2023 un programma di borse-lavoro in collaborazione con le imprese del territorio che oggi impiega oltre 400 under 30.

Le storie di chi torna (e perché)
Un’altra tendenza in crescita è quella del ritorno qualificato. Il “controesodo” riguarda ancora numeri limitati, ma in crescita: 6.500 rientri nel 2021, stabili negli anni successivi. A favorirlo sono incentivi fiscali (come la legge sul rientro dei cervelli), nuove occasioni nelle tecnologie green e digitali, e la volontà di contribuire alla rinascita del proprio territorio.
“Dopo sette anni a Londra, sono tornata a Udine e ho aperto uno studio di UX design: non mi mancano i ritmi tossici, e lavoro con clienti internazionali da qui” racconta Francesca Calò, 32 anni, in un’intervista a Il Piccolo. Come lei, tanti stanno scegliendo città “secondarie” che offrono connessione, equilibrio e relazioni autentiche.

I divari che aumentano: Sud sempre più a rischio
La vera emergenza resta il Mezzogiorno. Regioni come Calabria, Sicilia e Basilicata continuano a registrare un saldo negativo costante. Messina, secondo il report di ItaliaOggi pubblicato il 6 maggio 2025, perde in media 7 giovani al giorno. Le cause? Scarsi servizi, mobilità ridotta, assenza di politiche abitative e digitalizzazione insufficiente.
Il sindaco di Potenza, Mario Guarente, ha lanciato l’allarme: "Qui non si tratta di incentivare il ritorno: dobbiamo evitare l’estinzione. Senza un patto serio con lo Stato centrale, le aree interne moriranno".

Ripensare il Paese, città per città
Il nodo è tutto lì: non esiste un’unica Italia, ma un arcipelago di realtà molto diverse tra loro. E per invertire la rotta non basteranno bonus o misure tampone. Serve un cambio di paradigma: politiche abitative accessibili, sostegno al lavoro giovanile stabile, investimento nei servizi culturali e digitali.
Nel 2025 restare o tornare in Italia può diventare una scelta vincente solo se il sistema smette di ostacolare i giovani e inizia a considerarli la priorità. Non con gli slogan, ma con riforme concrete.


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