Dal lato reale arriva un colpo: produzione industriale in calo a novembre. Dal lato dei prezzi, invece, la febbre non è sparita: l’inflazione core a Tokyo resta sopra il 2%. In mezzo, la Banca del Giappone che prova a “normalizzare” senza spegnere il motore.
Un novembre in retromarcia: che cosa è sceso e perché
Il dato che accende i riflettori oggi è la produzione industriale giapponese: a novembre la variazione mensile segna -2,6%.
Dietro la percentuale c’è una fotografia molto concreta: la domanda di alcuni prodotti tecnologici si è raffreddata e alcune filiere, soprattutto quelle legate
alle batterie e all’elettronica, hanno subito un rallentamento.
Il Ministero dell’Economia, Commercio e Industria (METI) descrive il quadro come un andamento ancora incerto, con oscillazioni che non consentono di parlare
di un percorso lineare. In altre parole: il ciclo produttivo c’è, ma procede a scatti, e novembre è stato uno di quei mesi “storti”.
Un segnale importante è anche nella scomposizione settoriale emersa dai resoconti di mercato: auto, componentistica e batterie risultano tra i comparti
che hanno pesato di più sul risultato complessivo, in un momento in cui le scelte di investimento e di acquisto (dalle aziende ai consumatori) sembrano più prudenti.
Le aspettative delle imprese: rimbalzo o semplice respiro?
Qui entra in scena il sondaggio governativo sulle previsioni delle aziende manifatturiere: l’indicazione è per una ripresa a dicembre e un ulteriore
miglioramento a gennaio. È un elemento che i mercati leggono volentieri, ma con una cautela d’obbligo: le previsioni industriali tendono a cambiare rapidamente
se la domanda estera si muove, se lo yen oscilla o se i costi delle materie prime tornano a mordere.
Traduzione pratica: potrebbe essere un rimbalzo tecnico (dopo un mese debole) oppure l’inizio di una fase più robusta.
La differenza la faranno ordini, export e fiducia dei consumatori nelle prossime settimane.
Tokyo come termometro: inflazione core al 2,3%
Mentre le fabbriche frenano, i prezzi a Tokyo raccontano un’altra storia. L’inflazione “core” (la misura che esclude le componenti più volatili)
si colloca al 2,3% a dicembre. È un numero simbolico, perché resta oltre l’obiettivo del 2% della Banca del Giappone (BoJ).
Va letto anche il dettaglio qualitativo: il rallentamento rispetto al mese precedente è stato collegato, in più analisi, a una pressione meno intensa su alcune voci
legate a cibo ed energia. Ma restare sopra target significa che, per Tokyo (e spesso per il Paese), la dinamica dei prezzi non è ancora tornata “tranquilla”.
La BoJ e la parola più delicata: “normalizzazione”
Il punto politico-economico è tutto qui: come stringere senza strozzare.
La BoJ ha segnato negli ultimi mesi un percorso di uscita dall’ultra-accomodamento, e il dibattito si è acceso perché
l’inflazione resta sopra il 2% mentre la produzione mostra fragilità.
Nei documenti ufficiali la banca centrale insiste sull’idea che il ciclo salari-prezzi sia più strutturale rispetto al passato.
In un passaggio, la BoJ indica che è “altamente probabile” la tenuta del meccanismo di moderata crescita di salari e prezzi.
È una frase che pesa, perché suggerisce: non stiamo guardando solo fiammate, ma un cambiamento più profondo nel modo in cui le imprese fissano prezzi e retribuzioni.
A rafforzare questa lettura, nelle cronache finanziarie delle ultime ore si aggiungono i commenti del governatore Kazuo Ueda,
che ha parlato di progressi verso l’obiettivo di stabilità dei prezzi e ha lasciato intendere che ulteriori rialzi dei tassi
restano una possibilità se lo scenario confermerà le attese.
Il fattore yen: quando il cambio entra nel carrello della spesa
In Giappone il tasso di cambio non è una variabile “da addetti ai lavori”: un indebolimento marcato dello yen tende a rendere più care le importazioni,
e quindi può alimentare la componente “da costi” dell’inflazione. Proprio per questo, nelle ultime settimane le autorità giapponesi hanno ribadito
che non tollereranno movimenti considerati eccessivi o disordinati.
La conseguenza è un equilibrio complicato: tassi più alti possono sostenere lo yen e aiutare a contenere l’inflazione importata,
ma possono anche pesare su consumi e investimenti. E se intanto la produzione industriale rallenta, ogni passo della banca centrale diventa più sensibile.
Cosa guardare adesso: tre segnali chiave
- Ordini e export: se la domanda estera riparte, il calo di novembre rischia di restare un episodio.
- Salari e consumi: la BoJ vuole vedere un circolo virtuoso, non solo prezzi che salgono.
- Yen e prezzi importati: se il cambio spinge i costi, l’inflazione può restare appiccicosa anche con la crescita debole.
Nel breve, il Giappone sembra incastrato in un incrocio stretto: fabbriche che tossiscono e prezzi che non scendono abbastanza.
Il prossimo snodo sarà capire se le aspettative di recupero produttivo tra dicembre e gennaio si materializzeranno e se Tokyo continuerà a segnalare
un’inflazione sopra soglia oppure un rientro più deciso.