"Geopolitica del contagio", il nuovo libro di Gianluca Ansalone che spiega il futuro delle democrazie dopo il Covid-19
Si sente dire spesso che il mondo non sarà più lo stesso dopo la pandemia da Covid-19. Ciò è sicuramente vero per l’Occidente. Ci siamo troppo a lungo illusi e autoassolti, distratti rispetto ai rischi associati ai mutamenti dell’ordine mondiale, della piramide demografica, del ruolo degli Stati, della proliferazione delle minacce, dei modelli di crescita globale. Soprattutto abbiamo scelto di abbracciare solo la parte più conveniente e il lato più luminoso dei nostri sistemi politici, sociali ed economici. Abbiamo dato per scontata e irreversibile la democrazia, abbiamo creduto nell’autoregolazione del mercato e nell’autodisciplina delle comunità umane, abbiamo concentrato i nostri sforzi sull’allargamento dei diritti, senza interrogarci sul ruolo dei doveri nel garantire una convivenza matura. Abbiamo preferito elevare al potere non chi esprimeva il dubbio, utilissimo al progresso, ma chi dissacrava la competenza.
Il virus si sta dimostrando l’agente politico di cambiamento più potente e pericoloso di questo nuovo ventennio, un agente che accelera e esaspera molte dinamiche già in atto e di cui ci siamo accorti troppo tardi. E mentre tutti noi ci preoccupiamo degli anticorpi che il nostro organismo saprà sviluppare contro il virus, dovremmo occuparci anche degli anticorpi della nostra democrazia, di un “vaccino politico e civile” contro i pericoli della violenza, della profanazione, dell’autoritarismo, dell’implosione sociale. I fatti di Washington dello scorso 6 gennaio, con l’assalto e l’irruzione al Campidoglio, non fanno che rendere l’umanità ancora più fragile, esposta ai traumi di un mondo fuori controllo che sembra piegare e mettere in discussione le certezze guadagnate grazie ai progressi della tecnologia, della scienza, della medicina e del sapere. Viviamo un’epoca di paradossi. Il pianeta non è mai stato così prospero, con quasi un miliardo di persone a livello globale che è uscito dalla soglia di povertà nell’ultimo ventennio. Ma questa nuova ricchezza non è per tutti, o meglio non è distribuita in maniera equa. Viviamo in media tutti più a lungo e ciò è vero soprattutto per l’Italia, Paese che segue solo il Giappone in quanto a longevità.
Eppure sembriamo incapaci di riorganizzare i nostri modelli di welfare in modo da garantire ai cittadini una vita attiva e in salute, oltre che lunga. Abbiamo sconfitto malattie prima incurabili, eppure abbiamo scoperto la fragilità estrema causata da un invisibile filamento di RNA capace di aggredire le nostre cellule, costringendoci a rinunciare a qualsiasi contatto sociale ed umano. Fondiamo il nostro concetto di progresso e sviluppo sullo sfruttamento intensivo delle risorse, ma in questo modo prepariamo le condizioni per una tempesta perfetta climatica che rischia di travolgerci. Amiamo ed apprezziamo le opportunità offerte dalla rete e dal mondo digitale ma tardiamo a concepire e trattare lo spazio cibernetico come la quarta dimensione della vita e della sicurezza e così facendo, senza barriere all’ingresso e una regolamentazione cogente, favoriamo lo spostamento in quello spazio di reti criminali, terroristiche e propagandistiche il cui unico obiettivo è allargare il business illegale a danno degli utenti ed erodere spazi di sovranità agli Stati. La cifra comune a questi ed altri fenomeni è la velocità. Mai prima, infatti, l’umanità ha dovuto confrontarsi con una serie di cambiamenti così profondi in un periodo di tempo così breve. All’inizio degli anni ’90, il politologo americano Francis Fukuyama aveva scritto ampiamente della “fine della Storia”. Il mondo, terminata la Guerra Fredda e la contrapposizione bipolare, scampato il pericolo di un Olocausto nucleare, si sarebbe naturalmente e pacificamente allineato verso un modello omogeneo di democrazia liberale di mercato.
Le nazioni avrebbero trovato più conveniente collaborare sfruttando le opportunità offerte dalla globalizzazione, in particolare dallo scambio di merci e dalla mobilità delle persone. I saggi di Fukuyama sembrarono all’epoca quasi profetici, tanto da conoscere un inedito successo di vendite in libreria e di dibattito in accademia. E, in effetti, tra il 1990 e il nuovo millennio, la Storia sembrava sospesa, il mondo appariva concentrato su come massimizzare le opportunità offerte da un pianeta sempre più interconnesso. È stato un decennio irripetibile, unico per la sua spinta all’innovazione, al progresso e per la voglia di lasciarsi alle spalle l’apnea di mezzo secolo di Guerra Fredda, sciogliendo la tensione legata al rischio di un conflitto irreversibile tra USA e URSS a colpi di testate nucleari. Ma è stato anche il decennio nel quale la “grande distrazione”, dei cittadini sicuramente ma soprattutto delle classi dirigenti e della politica, ha impedito di vedere i semi delle crisi che di lì a poco avrebbero cambiato per sempre l’esistenza di tutti noi. L’11 settembre del 2001 la Storia si riprende la sua rivincita, torna prepotentemente a rivendicare la sua centralità e mette gli esseri umani di fronte alla necessità di assumere decisioni drastiche per sé e per le organizzazioni che si trovano a guidare. Quando si sostiene che gli attentati alle Torri Gemelle di New York hanno segnato un punto di non ritorno si fa certamente riferimento alla portata di quegli attentati e al loro valore simbolico. Ma più correttamente si individua in quei fatti la prima, drammatica manifestazione di un’epoca nuova, caratterizzata da rischi e da crisi molto ravvicinate nel tempo. Nel 2008 l’economia globale frana, travolta da una tempesta che nasce finanziaria e in breve tempo si trasforma in economica e poi sociale.
Poco più di dieci anni e l’umanità è sconvolta dalla più grave emergenza sanitaria della storia contemporanea, innescata dalla diffusione rapida e letale di un virus respiratorio che è riuscito a fare il salto di specie e, mentre scriviamo, a causare quasi due milioni e mezzo di vittime nel mondo. Tutte queste crisi vanno lette e analizzate assieme. Esse disegnano la traiettoria di un ventennio senza precedenti per la storia dell’umanità. Appare naturale quindi il senso di smarrimento, la perdita della direzione, il sentimento di fragilità. Per sua natura, l’essere umano ha bisogno di tempo per adattarsi al cambiamento, comprenderne portata e direzione, e provare quindi a governarne gli sviluppi. Questo tempo non ci è stato dato e ciascuno di noi è chiamato a riorganizzare la propria vita sulla base della costante risposta all’emergenza. Ciò vale per gli individui ma vale a maggior ragione per gli Stati e per le classi dirigenti che hanno la responsabilità di guidarli. Ricomporre un ordine, se non addirittura un’armonia, in queste condizioni è l’impresa più complicata che si possa immaginare. Soprattutto in un contesto nel quale l’emotività sembra aver preso il sopravvento, in cui gli individui e gli Stati sono mossi dalle pulsioni più che dalla razionalità, dalla immediatezza più che dal senso della prospettiva. Il rischio di perdere la direzione comune di marcia è dunque molto elevato.
Ma è proprio in passaggi così critici che è necessario fare due cose: analizzare in profondità i fenomeni, studiarne le caratteristiche e le implicazioni per poterli affrontare; rimettere ordine, con coraggio e una buona dose di creatività, tra i tasselli. Non per ripristinare lo status quo, non per rimpiangere un’età dell’oro - semmai è esistita - che non tornerà mai più. Ma per garantire a noi e alle future generazioni un’epoca non meno interessante, aperta, costruttiva e positiva di altre che per
ora sembrano descritte solo nei libri di storia. Questo volume
vuole essere un contributo alla comprensione e alla ricerca
di un filo rosso che forse lega i tornanti della storia recente
e a decifrare quel senso di smarrimento che avvertiamo. Si
tratta del frutto comprensibile di un mondo fuori controllo
oppure è la conseguenza della nostra incapacità di reagire?
Quest’ultima è semplicemente un’opzione che non possiamo
permetterci.
Per questo dobbiamo ad ogni costo conoscere.
Per comprendere in cosa siamo immersi oggi e cosa ci aspetta
verosimilmente domani.
Ma se sapremo ben gestire le conseguenze di questa pandemia, avremo con ogni probabilità gli strumenti e le risorse
adeguate a contenere gli effetti di futuri, possibili attacchi virali. Molto più negativo, invece, sarebbe l’effetto di una nuova, grande distrazione rispetto ai trend di evoluzione globale,
ai segnali deboli delle future crisi o al modo in cui si ridefinirà
presto un nuovo ordine mondiale. Soltanto analizzando, studiando e comprendendo in profondità tutte queste dinamiche potremo trasferire anche ai cittadini il senso di urgenza e
scongiurare così una nuova catastrofe. Questo è forse l’insegnamento più grande che ci dovrà lasciare questa pandemia:
la consapevolezza. L’era della grande distrazione dovrà finalmente terminare.