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Finanza italiana, dopo ko di Nagel cambiano gli equilibri del potere

- di: Giuseppe Castellini
 
Finanza italiana, dopo ko di Nagel cambiano gli equilibri del potere
Finanza italiana: dopo Mediobanca cambiano gli equilibri del potere
La bocciatura dell’Ops di Nagel ridisegna il futuro di Mediobanca, Mps e Generali. In campo Delfin e Caltagirone, con il governo sullo sfondo.

(Foto: la sede di Mediobanca è a Milano in piazzetta Enrico Cuccia, di cui Nagel è stato discepolo).


Il voto come spartiacque

Oggi l’assemblea straordinaria di Mediobanca ha respinto la proposta del ceo Alberto Nagel di lanciare un’Ops su Banca Generali, mettendo sul piatto l’intero pacchetto del 13,2% detenuto in Generali. La cronaca è nota: il 35% dei soci favorevoli non è bastato, mentre circa il 32% ha scelto l’astensione, inclusi Delfin e il gruppo Caltagirone.

Per molti osservatori, quella non è stata una semplice bocciatura tecnica, ma un vero spartiacque. La mossa di Nagel puntava a rafforzare Mediobanca nel wealth management, ma soprattutto a rendere meno appetibile la banca agli occhi di Mps e dei suoi alleati. Il no dell’assemblea lascia invece aperta la strada al risiko che da mesi scuote la finanza italiana.


La consequenzialità degli eventi

La sequenza degli avvenimenti è illuminante. Il 14 luglio 2025 Monte dei Paschi di Siena ha annunciato l’Ops su Mediobanca, sostenuta da Delfin e dal gruppo Caltagirone. Pochi giorni dopo, Mediobanca ha risposto con la proposta di acquisizione di Banca Generali, presentata ufficialmente il 5 agosto, ottenendo poi il via libera della BCE il 18 agosto. Il 21 agosto, l’assemblea straordinaria dei soci ha respinto la proposta, aprendo così la strada a un finale che si giocherà l’8 settembre, quando scadrà l’Ops di Mps. Ogni passaggio è stato la diretta conseguenza del precedente: una partita a scacchi in cui ogni mossa è stata risposta a un attacco.


Mediobanca, l’arbitro storico

Per capire la portata del passaggio, occorre ricordare che Mediobanca è stata per decenni il “cuore” della finanza nazionale. Da Enrico Cuccia in poi, l’istituto è stato la cabina di regia delle grandi partite industriali, dalla Fiat alla Pirelli, dalle telecomunicazioni alle utilities. Attraverso partecipazioni e patti di sindacato, Mediobanca ha rappresentato il garante di un equilibrio tra capitalismo familiare e interessi pubblici.

Negli ultimi anni, con la guida di Nagel, l’istituto ha cambiato pelle, investendo di più nel wealth management e riducendo l’attivismo diretto. Ma la quota del 13,2% in Generali restava il segno tangibile di un potere che va oltre i bilanci: la capacità di decidere, in ultima istanza, le sorti del Leone di Trieste.


Il progetto Mps-Lovaglio con Delfin e Caltagirone

La bocciatura dell’Ops di Nagel rafforza il progetto concorrente: l’offerta pubblica di scambio di Mps su Mediobanca, avviata il 14 luglio 2025 e destinata a chiudersi l’8 settembre. Una mossa che Luigi Lovaglio, ceo di Mps, ha concepito come coronamento del risanamento della banca senese.

Dietro Lovaglio ci sono due azionisti che da tempo guardano oltre: Delfin, la cassaforte degli eredi Del Vecchio, e Francesco Gaetano Caltagirone. Entrambi hanno partecipazioni significative in Mps, Mediobanca e Generali. Delfin detiene circa il 9,8% di Mps, quasi il 20% di Mediobanca e il 9,9% di Generali; il gruppo Caltagirone possiede il 9,9% di Mps, oltre il 7% di Mediobanca e il 6,9% di Generali. Numeri che valgono molto più della somma aritmetica: sono la chiave per costruire un asse in grado di orientare l’intero sistema.

L’obiettivo è chiaro: creare un terzo polo bancario, affiancando Intesa e Unicredit, e allo stesso tempo salire sulla tolda di comando di Generali.


Il treppiede e i ritorni per ciascuno

Il disegno in corso si regge su un treppiede preciso. Luigi Lovaglio, ceo di Mps, punta a guidare un gruppo che potrebbe comprendere, oltre a Siena e Mediobanca, anche Banco Bpm. Delfin e Caltagirone, azionisti trasversali nelle tre partite, vedono spalancarsi la possibilità di salire al comando di Generali, sfruttando il pacchetto di Mediobanca. Il governo, infine, otterrebbe la nascita del terzo polo bancario tutto italiano, da sempre considerato un obiettivo strategico. Un equilibrio che, se raggiunto, rafforzerebbe la posizione di ciascun attore e riscriverebbe la mappa della finanza italiana.


Generali al centro della partita

Il Leone di Trieste non è solo una compagnia assicurativa: è uno dei grandi asset nazionali, con oltre 650 miliardi di euro di masse gestite e una presenza in 50 Paesi. Dal dopoguerra, Mediobanca ne è stata l’azionista di riferimento, di fatto l’arbitro delle sue scelte strategiche.

Nell’aprile 2025 l’assemblea di Generali aveva confermato Andrea Sironi presidente e Philippe Donnet amministratore delegato, nonostante l’opposizione di Delfin e Caltagirone. Quella sconfitta aveva raffreddato le ambizioni degli azionisti italiani, ma la bocciatura dell’Ops di Nagel riapre lo scenario.

Il pacchetto del 13,2% in mano a Mediobanca è decisivo. Se Mps riuscirà a conquistare l’istituto, quell’asset diventerà strumento nelle mani della triade Lovaglio-Delfin-Caltagirone. Non a caso Donnet è tornato nel mirino. Il 20 aprile 2025, Caltagirone dichiarava che la partnership con Natixis “avrebbe smantellato Generali”. Il 28 maggio aggiungeva che la compagnia “non deve cadere in mani sbagliate” e che l’attuale management “non ha visione”.

La battaglia, dunque, non è solo bancaria: è assicurativa e industriale.


Il futuro di Donnet e di Generali

La decisione dell’assemblea di Mediobanca è stata letta dagli osservatori anche come un avviso di sfratto per Philippe Donnet. Il manager francese, già confermato ad aprile 2025 nonostante l’opposizione di Delfin e Caltagirone, vede ora ridursi drasticamente il suo margine di manovra. Se l’Ops di Mps su Mediobanca avrà successo, il fronte italiano acquisterà una forza tale da rimettere in discussione la governance del Leone. Non si tratta di un cambiamento immediato, ma di un segnale inequivocabile: le strategie francesi, e in particolare il progetto di alleanza con Natixis, appaiono sempre più isolate.


Il ruolo del governo

L’esecutivo osserva con attenzione e interviene quando necessario. Lo ha fatto con il golden power esercitato a luglio 2025 sull’Ops di Unicredit su Banco Bpm, bloccando un’operazione che avrebbe compromesso i piani di consolidamento domestico. La logica è chiara: evitare che un grande gruppo sensibile a forze e capitali esterni rafforzi la sua posizione e impedire che venga meno la prospettiva di un polo nazionale.

Il terzo polo, nelle intenzioni, dovrebbe essere formato da Mps, Mediobanca e – in prospettiva – Banco Bpm. Una realtà “italiana” per struttura e governance, che il governo potrebbe rivendicare come successo politico ed economico. Non a caso le critiche di Caltagirone all’alleanza con Natixis sono apparse in sintonia con la sensibilità istituzionale.


Nagel e la mossa difensiva

Alberto Nagel ha legato la sua carriera a Mediobanca. Divenuto ceo nel 2008, ha attraversato anni turbolenti, mantenendo l’istituto solido e profittevole. La sua decisione di lanciare l’Ops su Banca Generali non era un colpo di testa, ma una mossa difensiva.

Se Mediobanca avesse ceduto il pacchetto in Generali, sarebbe diventata meno attraente per chi puntava a conquistarla. L’Ops, insomma, era un tentativo di sfilare ai concorrenti l’arma decisiva. Non è andata così. L’assemblea ha detto no, e il Ceo ne esce indebolito. Oggi, all’indomani del voto, ha parlato di “opportunità mancata”, denunciando “conflitti d’interesse che hanno pesato sulla decisione”.

La partita non è chiusa, ma per Nagel il futuro si complica.


La chiave interpretativa

La chiave interpretativa va cercata oltre le spiegazioni ufficiali. Nagel ha sempre parlato di un rafforzamento nel wealth management, coerente con la strategia di lungo periodo di Mediobanca. Ma la tempistica dell’operazione non lascia spazio a dubbi: la mossa era anche difensiva. Cedere a Generali il 13,2% in Generali avrebbe reso Mediobanca meno attraente per Mps e, soprattutto, per Caltagirone e Delfin, che hanno come obiettivo prioritario la conquista del Leone di Trieste. In altre parole, Nagel ha provato a sottrarre l’arma decisiva ai suoi avversari. La bocciatura dell’assemblea, invece, mantiene intatta quella leva e di fatto la consegna, in prospettiva, proprio a chi ambisce a usarla.

I protagonisti in primo piano

  • Luigi Lovaglio: ex Unicredit, da due anni alla guida di Mps. Ha completato la ricapitalizzazione e rilanciato la banca. Oggi si propone come regista del consolidamento.
  • Francesco Gaetano Caltagirone: imprenditore romano, editore e costruttore, diventato protagonista della finanza. La sua battaglia contro Donnet in Generali lo ha reso figura centrale.
  • Delfin: la holding degli eredi Del Vecchio, guidata dall’ad Francesco Milleri. Ha partecipazioni in Mediobanca, Mps, Generali e Unicredit. Secondo indiscrezioni, potrebbe valutare nel tempo una riduzione delle esposizioni, ma al momento resta al centro della scena.

L’eco sui mercati

La bocciatura dell’Ops ha avuto riflessi immediati. A Piazza Affari, il titolo Mediobanca ha perso terreno, mentre Mps ha registrato acquisti in vista della chiusura dell’Ops. Generali è rimasta più stabile, segno che il mercato attende sviluppi concreti. Al 20 agosto già il 19,4% degli azionisti aveva aderito all’offerta di Mps su Mediobanca, un segnale che la partita sta maturando.


Una partita ancora aperta

Il risiko è tutt’altro che concluso. L’8 settembre, data di chiusura dell’Ops Mps, sarà il primo snodo. Ma anche dopo quella data la questione Generali resterà sul tavolo. Le mosse del governo, le scelte degli eredi Del Vecchio e le strategie di Caltagirone determineranno gli equilibri futuri.

Non si tratta di un normale passaggio societario, ma di una ridefinizione complessiva della finanza italiana. Mediobanca, Mps e Generali rappresentano assi portanti. Attorno a loro si gioca la partita più grande: chi controllerà il risparmio e chi potrà guidare le strategie industriali del Paese nei prossimi anni.


La variabile Delfin

Resta una variabile aperta: il futuro di Delfin. Francesco Milleri, amministratore delegato della holding, ha lasciato intendere negli ultimi mesi che la società potrebbe valutare una riduzione delle esposizioni azionarie, incluse quelle in Mediobanca, Generali e Unicredit. Si tratta di riflessioni interne, non di decisioni definitive, ma l’ipotesi di un’uscita parziale nel giro di alcuni anni circola negli ambienti finanziari. Se così fosse, la centralità di Caltagirone potrebbe crescere ulteriormente, ridisegnando di nuovo gli equilibri. Al momento, tuttavia, Delfin resta pienamente coinvolta nello scontro in corso.


L’inizio di una nuova fase

La bocciatura dell’Ops di Nagel non è la fine di un progetto, ma l’inizio di una nuova fase. Mediobanca resta al centro, ma il suo Ceo esce indebolito. Mps, Delfin e Caltagirone intravedono una strada più libera verso Generali. Il governo continua a vigilare, pronto a usare gli strumenti a sua disposizione.

In gioco non c’è solo il futuro di una banca o di una compagnia: c’è la geografia del potere finanziario italiano. Dopo decenni di equilibrio stabile, lo scenario è improvvisamente fluido. La mappa è destinata a cambiare, e il voto del 21 agosto resterà come il momento in cui il risiko è entrato davvero nella sua fase decisiva. 

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