Per capire se la missione italiana a Parigi, per convincere la Francia a schierarsi a favore della candidatura di Roma quale sede dell'Esposizione mondiale del 2030, sarà stata positiva bisogna aspettare ancora qualche mese.
Non perché le parole rassicuranti di Emmanuel Macron non siano sembrate sincere, ma per il semplice, banalissimo motivo che, quel che oggi è certo, domani potrebbe non esserlo, essendo troppe le variabili e tanti gli interessi economici (ma anche politici) in gioco.
La delegazione italiana, guidata da Giorgia Meloni, insieme al presidente della Giunta regionale del Lazio, Francesco Rocca, e al sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, ha giocato, con l'interlocutore francese, tutte le sue carte, a cominciare da un progetto i cui punti fermi sono, come ha detto il presidente del Consiglio, ''sostenibilità, partenariati duraturi tra le Nazioni, cooperazione responsabile e inclusiva con i più vulnerabili, un'ambiziosa eredità di progresso per la comunità internazionale''.
Expo 2030, Roma: perché sì, perché no, perché "nì"
Un bellissimo progetto che è visionario, nel senso più bello di questo termine, e che è stato presentato come tale.
Ma, troppo spesso, in Italia i progetti, anche i più affascinanti, si vanno a incagliare, quando non a infrangersi, contro scogli o secche inattesi.
Ma dobbiamo essere ottimisti (oppure pessimisti o a metà strada, decidete voi).
I motivi per il ''sì''
Roma è la location ideale per una esposizione che vuole essere un evento globale, per la sua storia, per la sua cultura, per la vocazione turistica. La città a chi dovesse arrivarci per l'Expo offrirebbe un ventaglio di tali occasioni per visitarla che non hanno paragoni con le sedi, seppure prestigiose, che l'hanno preceduta. Per questo, pur non potendo applicare il modello Milano, per ovvi motivi pratici, Roma sarebbe il luogo ideale per concentrare passato, presente e futuro, all'insegna dell'armonia. E il tempo che manca per l'inaugurazione della manifestazione potrebbe consentire di programmare in modo tale da aumentare l'offerta che marcerà in parallelo a quella propria dell'Expo.
I motivi per il ''no''
Roma, se riuscisse nell'impresa di farsi assegnare Expo 2030, sarebbe in grado di sopportare il peso logistico della manifestazione? Con il senno di oggi, la risposta deve essere no, con tanto di risata repressa. La capitale è un rebus dal punto di vista della gestione pubblica, lacerata da incongruenze, falle nell'organizzazione e nell'erogazione dei servizi, pagando anche il peso delle folli politiche della gestione dei dipendenti - diretti o dell'indotto - del Campidoglio, che, gratificati da delibere che tanto hanno concesso, vivono in una bolla di privilegi difficilmente revocabili o soltanto scalfibili. Per essere credibile come sede per l'Esposizione, Roma dovrebbe essere oggetto di un restyling organizzativo totale, ma soprattutto vero, lasciando da parte, per una volta, gli interventi-tampone, estemporanei o creativi, che tanto male hanno fatto in passate occasioni (Italia '90 e Giubileo, solo per citarne un paio).
Poi, viene da chiedersi, se basteranno sette anni per, nell'ordine: ridare dignità alla rete stradale urbana, devastata da buche e voragini; mettere al livello di una città occidentale il ''dossier rifiuti''; razionalizzare, ammodernandola, la flotta dei mezzi pubblici, mettendo ordine nella delicata questione dei taxi e della loro corporazione; allentare la morsa dell'inquinamento atmosferico che c'è, anche se si coltiva ancora l'illusione che il Ponentino ripulisca l'aria; restituire l'orgoglio per la divisa che indossano alle migliaia di uomini e donne della Polizia Locale, praticamente spariti da importanti e trafficate zone.
I motivi del ''nì''
Lo sforzo economico per rendere Roma logisticamente adeguata a ospitare migliaia di visitatori per l'Expo 2030 (da considerare parzialmente aggiuntivi a quelli di oggi), se la capitale dovesse battere la concorrenza, sarebbe notevole, anche se alla fine gli introiti dovrebbero superare le spese. La manifestazione avrà una durata di sei mesi, cosa che consentirebbe agli arrivi di visitatori di essere spalmati per un periodo ragionevolmente lungo, così da evitare alla città un effetto ''assedio'' che sarebbe negativo per la cittadinanza, saturando le strutture ricettive. Poi - ma questo purtroppo è un discorso già sentito - i padiglioni per la rassegna avranno una vita ulteriore, restando, come ha detto Giorgia Meloni a Parigi, ììa disposizione di tutte le Nazioni che ne faranno richiesta, per consentire loro di mantenere una propria rappresentazione, di istituire centri di ricerca e tecnologia, di conservare uno spiraglio di dialogo''.