Il Consiglio Europeo straordinario ha segnato un punto di svolta per l’Unione: da un lato, i 27 hanno trovato un accordo unanime per potenziare la difesa comune, avviando un riarmo su larga scala; dall’altro, il veto ungherese ha impedito di raggiungere una posizione condivisa sul sostegno all’Ucraina. La riunione, dunque, ha offerto un doppio volto: compattezza su un’Europa più forte militarmente, ma fragilità politica di fronte alla guerra in corso ai confini orientali.
L’Europa si riarma, ma si spacca su Kiev: il veto di Orbán frena l’unità dell’UE
Di fronte all’instabilità crescente e al rischio di un’erosione dell’influenza europea sullo scacchiere globale, i leader dei 27 hanno deciso di imprimere un’accelerazione alla strategia di difesa comune. Il piano approvato prevede investimenti per 800 miliardi di euro, con l’obiettivo di rafforzare l’industria militare europea, accrescere l’autonomia strategica del continente e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Un cambiamento di paradigma che segna una netta cesura rispetto al passato: l’UE non vuole più limitarsi a essere un attore diplomatico, ma intende diventare un soggetto geopolitico capace di proiettare la propria forza militare.
Dietro questa svolta si cela la consapevolezza che il vecchio equilibrio, in cui la sicurezza europea era garantita dagli Stati Uniti attraverso la NATO, sta vacillando. Le incertezze sulla politica estera americana, alimentate dall’incognita di un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, spingono Bruxelles a costruire un’autonomia difensiva mai realmente perseguita fino in fondo. Seppur con sfumature diverse, tutti i grandi Paesi dell’UE – dalla Germania alla Francia, passando per l’Italia – hanno concordato sulla necessità di muoversi in questa direzione.
La frattura su Kiev: Orbán blocca l’unità
Se sulla difesa il vertice ha mostrato coesione, sul dossier Ucraina la spaccatura è emersa in modo evidente. Viktor Orbán ha nuovamente bloccato il consenso sulle conclusioni riguardanti il sostegno a Kiev, isolandosi dal resto dell’Unione. Il premier ungherese ha ribadito che finanziare la guerra potrebbe “rovinare l’Europa”, sostenendo la necessità di una strategia di negoziato con Mosca. Un messaggio in netta contrapposizione con la linea dominante a Bruxelles, dove l’obiettivo resta quello di supportare l’Ucraina nel contrastare l’aggressione russa.
L’ostruzionismo ungherese ha costretto il presidente del Consiglio Europeo, António Costa, a trovare una soluzione di ripiego: invece di una dichiarazione ufficiale a nome dell’Unione, è stato diffuso un documento firmato solo da 26 Stati membri, confermando il sostegno a Kiev ma certificando al tempo stesso la divisione interna.
Questo episodio non è isolato, ma rientra in una dinamica più ampia. Orbán ha più volte usato il suo potere di veto per bloccare decisioni europee sgradite a Budapest, consapevole che l’UE, per funzionare, ha bisogno dell’unanimità su molti dossier cruciali. Il suo atteggiamento pone un problema politico di fondo: fino a che punto un solo Stato può condizionare le scelte dell’intera Unione?
Un’UE più forte o più fragile?
Il vertice europeo ha dunque lasciato un bilancio misto. Da un lato, l’UE ha compiuto un passo storico verso il rafforzamento della propria capacità di difesa. Dall’altro, le divisioni sulla guerra in Ucraina dimostrano che il processo di integrazione europea è tutt’altro che lineare. L’unità mostrata sul riarmo non è sufficiente a celare le fragilità interne, che emergono ogni volta che si affrontano questioni di politica estera e sicurezza.
La questione ucraina continuerà a essere una prova di coesione per l’Europa nei prossimi mesi. Il rischio è che le divisioni interne finiscano per indebolire la posizione dell’UE sulla scena internazionale, proprio mentre Mosca e Pechino rafforzano la loro alleanza e Washington si muove in modo sempre più imprevedibile.
Il nodo resta lo stesso: Bruxelles vuole essere un attore geopolitico con voce in capitolo sulle grandi crisi globali, ma senza una linea comune su temi fondamentali come il conflitto in Ucraina, l’Europa rischia di rimanere un gigante economico con i piedi d’argilla in politica estera.