A dodici mesi dalla pubblicazione del report Draghi sulla competitività europea, la fotografia resta invariata: l’Europa paga l’energia molto più cara rispetto agli Stati Uniti. I prezzi dell’elettricità per le aziende Ue restano 2-3 volte superiori rispetto a quelli oltre Atlantico, mentre il gas naturale costa addirittura 4-5 volte di più. Un divario che continua a incidere sulla produttività, sui margini e sulla capacità di attrarre investimenti industriali.
Energia, un anno dopo il report Draghi: l’Europa paga ancora molto più degli Usa
Le cause, già analizzate da Draghi nel settembre 2024, sono note: l’Europa non dispone di risorse naturali comparabili a quelle statunitensi e continua a pagare le inefficienze strutturali di un mercato energetico comune incompleto, caratterizzato da regole frammentate e reti elettriche obsolete. Queste ultime rappresentano un fattore di costo aggiuntivo significativo, che si riflette direttamente sulle bollette di famiglie e imprese.
Investimenti miliardari richiesti
Il rapporto Draghi ha quantificato gli sforzi necessari: 584 miliardi di euro di investimenti entro il 2030 solo per ammodernare le reti elettriche, con un fabbisogno complessivo che arriva a 2.290 miliardi entro il 2050. Una cifra enorme, che richiede una mobilitazione congiunta di capitali pubblici e privati. Al momento, però, non è chiaro quanto di queste risorse sarà effettivamente disponibile, né con quali strumenti finanziari.
Le mosse di Bruxelles
Il commissario europeo all’Energia, Dan Jorgensen, ha ricevuto il mandato di presentare entro fine anno una revisione delle reti elettriche europee, con l’obiettivo di accelerare i progetti di interconnessione e ridurre le inefficienze che frammentano il mercato. Si tratta di un passaggio cruciale per trasformare le raccomandazioni del report Draghi in una strategia concreta.
La diversificazione dalle fonti russe
Sul fronte geopolitico, Bruxelles rivendica i risultati ottenuti con la diversificazione: l’Ue ha ridotto in maniera significativa la dipendenza da petrolio e gas russi e punta a eliminare del tutto le importazioni da Mosca entro il 2028. Nuovi fornitori dal Nord America, dal Medio Oriente e dall’Africa stanno gradualmente colmando il vuoto. Una strategia che ha ridotto l’esposizione ai rischi geopolitici, ma che non ha ancora abbattuto i costi strutturalmente più alti dell’energia europea.
Il piano per l’energia accessibile
Documenti interni della Commissione, rivelati da Politico, hanno anticipato il Piano d’azione per l’energia accessibile, che esplora varie opzioni. Tra queste, l’idea che le imprese europee possano investire direttamente in progetti statunitensi di GNL, assicurandosi forniture a condizioni più competitive. Un segnale della crescente interdipendenza tra industria europea e risorse energetiche americane, in un contesto di tensioni commerciali con Washington e di forte concorrenza globale.
I settori più colpiti
Il differenziale di prezzo con gli Usa pesa soprattutto sui comparti energivori: acciaio, chimica, automotive, carta e vetro. Per queste filiere, che rappresentano una quota significativa del manifatturiero europeo, i costi dell’energia sono diventati un fattore critico di sopravvivenza. Molte imprese stanno valutando rilocalizzazioni o investimenti diretti negli Stati Uniti, dove energia meno costosa e incentivi pubblici rendono più competitivo produrre. È un fenomeno che rischia di trasformarsi in una vera e propria fuga industriale, con impatti sulla base produttiva europea.
Il rischio di deindustrializzazione
Gli analisti sottolineano che senza un rapido allineamento dei costi energetici, l’Europa rischia di subire una progressiva deindustrializzazione. Il Green Deal e la transizione ecologica restano obiettivi centrali, ma se i prezzi dell’energia restano fuori scala rispetto a quelli americani e asiatici, le stesse politiche ambientali rischiano di diventare insostenibili per le imprese.
La sfida dei prossimi anni
Un anno dopo il report Draghi, la sfida resta aperta. L’Ue ha avviato la revisione delle reti e lanciato piani per diversificare le forniture, ma il gap con gli Stati Uniti è ancora lontano dall’essere colmato. Nei prossimi mesi Bruxelles dovrà decidere come mobilitare i fondi necessari e come bilanciare competitività industriale e obiettivi climatici. La tenuta del sistema produttivo europeo, e la sua capacità di competere sui mercati globali, dipenderanno in larga parte da queste scelte.