L'energia è diventata un fatto politico, il mercato in sé conta sempre meno

- di: Roberto Pertile
 
Dopo la caduta del muro di Berlino e la conseguente crisi dell’Unione sovietica, nel mondo occidentale sono prevalse forze economiche favorevoli alla politica liberista di totale apertura, per le imprese, al libero scambio delle merci, inclusi i vari prodotti energetici. Coerentemente con questo clima, nel 2012, il Governo Monti propose di vendere la società SNAM (Gruppo Eni) alla società “Gazprom” (100% sotto il controllo dello Stato russo) per motivi di convenienza squisitamente commerciale, dati i prezzi più convenienti della stessa.
La proposta, comunque, fu bocciata nella sostanziale indifferenza della Sinistra. Era convinzione diffusa che nulla dovesse ostacolare il libero mercato. Purchè fosse conveniente e concorrenziale, anche un rapporto preferenziale con la Russia poteva costituire una straordinaria opportunità.

L'energia è diventata un fatto politico, il mercato in sé conta sempre meno

Non andò così. La crisi finanziaria del 2008 causò una caduta della domanda di beni e servizi, compresi i beni energetici. Questa riduzione della domanda mise in discussione la sicurezza economica della Russia, che si convinse di tutelare il proprio interesse.
Convinto dell’infondatezza della teoria del libero accesso alle fonti energetiche, il Governo russo decise di fare dell’energia lo strumento politico per affermare un suo riscatto a livello internazionale e per contrastare il declino dovuto alla fine dell’Unione sovietica. Ciò spiega la volontà politica di Mosca di aggirare il transito del gas russo attraverso l’Ucraina, (nel 2006 i gasdotti dell’Ucraina veicolavano il 90% delle esportazioni russe verso l’Europa. Fonte A. Clò, ”Il ricatto del gas russo”).

Come abbiamo visto di recente, l’opportunità russa non si è dimostrata un affare per i Paesi europei, dipendenti dalle decisioni politiche della Russia e ora vogliosi di liberarsi da una stretta ormai divenuta ricattatoria e asfissiante, in particolare dopo l’attacco di Putin all’Ucraina. Tuttavia, fare a meno del gas russo non è così semplice, occorre trovare altre fonti energetiche, che forse solo un’Europa coesa e ben integrata può essere in grado di farlo.
Una politica economica europea, autonoma nel settore del gas e delle altre fonti energetiche, è condizionata oggi anche da altri fattori geopolitici. Da un lato, c’è la crescente domanda energetica della Cina e dell’India alla Russia; dall’altro, l’autosufficienza degli Usa in materia di “shale oil” e “shale gas “(petrolio e gas estratti dal territorio), che potrebbe permettere all’Europa di cambiare fornitore energetico, sia pure a costi tutt’altro che concorrenziali.
L’economia mondiale, in questi anni, ha subito gli effetti, come detto, di una sensibile crescita della domanda cinese e indiana dei prodotti energetici. Questo dato descrive una nuova geopolitica dell’energia, per effetto della creazione di un blocco “orientale”, dove la Cina e l’India sono i grandi consumatori e la Russia è il principale produttore e fornitore dell’energia. La potenzialità economica di questo aggregato è molto elevata, anche perché la Cina e l’India possono estendere la loro presenza nel nucleare, adottando la nuova tecnologia della fusione. Critico è il ruolo della Russia, che, nella sua storia, è un pendolo tra la cultura europea e le sue identità asiatiche; tra il blocco con la Cina o l’integrazione con il mercato europeo. Dopo il crollo dell’Unione sovietica, in Russia non è prevalso il modello democratico, bensì, come vediamo anche oggi, una visione “imperiale” delle relazioni internazionali.
Lo scenario energetico è molto cambiato dai tempi di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni, in cui le famose “sette sorelle” erano il più potente oligopolio energetico.
Oggi, i veri centri di potere sono colossi pubblici che rendicontano al Governo del proprio Paese del loro operato. Al giorno d’oggi, la società Gazprom, come è evidente, è uno strumento di politica estera del Governo russo. L‘energia è diventata un fatto politico. il mercato in sé conta sempre meno; vale, invece, la capacità di non farsi condizionare dai poteri politici che non fanno l’interesse dell’Italia e dell’ Europa, minandone l’autonomia.

Il settore sarà sempre più caratterizzato dalla concorrenza tra Usa e Cina, dove lo spazio per l’Europa è quello di operare per una politica di transizione ad un ambiente pulito. Da qui, la richiesta al Governo italiano e alle Istituzioni dell’UE di fare investimenti nelle nuove tecnologie, che richiedono elevati investimenti finanziari. Questa politica può avviare una soluzione strutturale alla domanda/offerta del settore energetico italiano ed europeo, rendendolo indipendente dalle oligarchie internazionali. Tra gli ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo ci sono gli egoismi nazionali, che hanno, finora, impedito la creazione di un unico mercato europeo dell’energia.

La soluzione di buona parte delle difficoltà odierne dipende da scelte politiche, come accade sull’impiego dell’energia nucleare, dove la nuova frontiera tecnologica della fusione merita una riflessione serena e obiettiva, priva di posizioni di estremismo ideologico.
Tra l’altro, le energie rinnovabili sembrano meno pulite di quanto finora sostenuto; da qui, le resistenze ambientaliste alla loro diffusione. Un ulteriore ostacolo ad un nuovo ordine energetico è la finanziarizzazione dell’economia, che vede prevalere gli interessi speculativi su quelli per un ambiente pulito.
Infine, una nota di ottimismo. Secondo Federico Rampini (“Il lungo inverno”), un futuro positivo per le energie pulite si potrà avere dallo sfruttamento dei fondali marini , mediante l’estrazione di preziosi minerali, quali il cobalto, il manganese e il litio.
Con una visione illuminata e lungimirante può essere, dunque, data una risposta di civiltà e di solidarietà alle datate logiche “imperialiste”, ora dominanti.
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