Nel cuore della svolta agroindustriale italiana, ENEA lancia un’idea che sembra uscita dal futuro ma che vuole concretizzarsi già domani: un sistema high-tech pensato per produrre verdura, frutta e persino pesce in ambienti urbani chiusi — edifici dismessi, mense scolastiche, grandi spazi inutilizzati.
La parola chiave è acquaponica: una tecnologia che unisce agricoltura fuori suolo (idroponica) e acquacoltura, aprendo scenari inediti.
ENEA lancia un’idea che sembra uscita dal futuro ma che vuole concretizzarsi già domani
L’idea va oltre la semplice coltivazione: questo mini-impianto è pensato come una “fattoria urbana” di comunità, ideale non solo per produrre ingredienti freschi ma anche per darli direttamente agli utenti finali — residenti, mense, agriturismi.
In altre parole: trasformare edifici inutilizzati in micro-hub produttivi, ridurre la filiera, puntare sulla qualità e sul rigore ambientale.
Tecnologia e sostenibilità: un binomio vincente
Prototipo su scala dimostrativa
Il progetto, finanziato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy con oltre 5 milioni di euro, è già stato messo in marcia. ENEA collabora con università, consorzi e aziende specializzate, tra cui IRCI Spa, azienda esperta in impianti idroponici e acquaponici.
Il livello tecnologico dichiarato è TRL 7, ovvero la maturità tecnologica è già piuttosto avanzata — non semplice ricerca teorica, ma applicazione concreta.
Economia circolare, zero sprechi
In questo impianto la parola “rifiuto” è bandita: le deiezioni dei pesci saranno valorizzate come nutrienti per le piante, l’intero ciclo punta all’ecosistema chiuso e integrato.
Il tutto in un contesto urbano, dove spesso lo spazio agricolo è un lusso. Qui l’agricoltura si fa dentro, accanto, includendo il tessuto urbano nella catena produttiva.
Perché fa la differenza
Qualità, ambiente, città
Questa proposta non è solo innovazione tecnica: è una risposta a tre nodi cruciali. Uno: produrre cibo di qualità vicino agli utenti, riducendo la distanza “campo-piatto”. Due: fare tutto ciò con basso impatto ambientale, perché coltivare in ambienti controllati significa limitare pesticidi, trasporti, sprechi. Tre: recuperare edifici dismessi e trasformarli in poli produttivi; così la città reinventa se stessa.
L’idea che l’agricoltura urbana non sia più solo un’attività marginale ma un’attività produttiva piena si impone.
Una sfida da cogliere
Non tutto è già risolto: ambienti controllati, tecnologie avanzate, impianti modulari richiedono investimenti, competenze, reti collaborative. Ma la scommessa è chiara: mostrare che è possibile un nuovo modello agroindustriale, compatto, urbano, intelligente. ENEA e i suoi partner puntano a dimostrarlo concretamente.
Conclusione: un’agricoltura che guarda avanti
Quando la tecnologia, la città e l’ambiente dialogano, nascono opportunità che fino a poco tempo fa sembravano riservate a scenari futuristici. Questo sistema hi-tech non è un sogno lontano: è un passo concreto verso un’agroindustria urbana, sostenibile e integrata.
Le comunità, le mense, le imprese locali sono chiamate a diventare protagoniste. Perché in un mondo che cambia, coltivare bene — vicino e con rispetto — non è più un vantaggio: è una necessità.