Vertice a Palazzo Chigi con Meloni e Tajani: la Lega alza la voce sulla successione a Zaia. Nel centrosinistra prende corpo il ticket Giani-Fico, ma Schlein cerca ancora l’intesa col M5s. E il nodo Campania resta aperto.
(Foto: da sinistra Tajani, Meloni e Salvini).
Il Veneto è la partita madre. E Salvini gioca per non perderla
Chi guida il Veneto, guida un pezzo d’Italia strategico. E Matteo Salvini lo sa bene. Per questo, alla vigilia del vertice con Giorgia Meloni e Antonio Tajani, ha mandato un messaggio tanto semplice quanto contundente: “Squadra che vince non si cambia”. Traduzione: la presidenza della Regione resta affare della Lega.
La vicesegretaria Silvia Sardone lo ha detto con ancor meno diplomazia: “È ovvio che la Lega rivendichi il Veneto”.
Con lui anche Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, a conferma che il summit sarà più una resa dei conti che una formalità. Perché dietro le parole si cela un’incognita grossa come Palazzo Ferro Fini: il dopo-Zaia. Il governatore uscente, alla guida del Veneto dal 2010, ha detto con freddezza istituzionale: “C’è un’eredità importante, che non è solo della Lega ma del centrodestra”. Parole che suonano più come un avvertimento che come un commiato.
Meloni prende tempo, ma FdI punta Pistoia e Campania
Fratelli d’Italia osserva, pesa e calibra. Giorgia Meloni non avrebbe ancora messo veti, ma sarebbe orientata a rafforzare la presenza del suo partito nei territori, soprattutto laddove l’onda lunga delle europee ha lasciato segni netti. In Toscana, ad esempio, si fa largo il nome di Alessandro Tomasi, sindaco FdI di Pistoia, mentre in Campania viene testato il gradimento del vice ministro Edmondo Cirielli, fedelissimo meloniano.
Ma la vera partita non è tra nomi. È sulla mappa del potere territoriale. In Veneto la Lega ha numeri e radicamento, e Meloni rischierebbe di perdere un alleato strategico se forzasse la mano. In Toscana e Campania, invece, FdI gioca la partita del rilancio.
Nel Pd prove di disgelo: Giani resta, Fico avanza
A sinistra, intanto, si stringono i nodi. Dopo il lungo colloquio al Nazareno tra Elly Schlein e il presidente toscano Eugenio Giani, il Pd sembra aver trovato il suo uomo. Non è una riconferma ufficiale, ma “la ricandidatura è ormai considerata scontata”.
Il problema, semmai, è un altro: il M5s. I Cinque Stelle non sostengono ancora Giani e Schlein vuole una sintesi sul “campo largo”, che in Toscana – a oggi – non esiste. Per questo la Campania diventa cruciale: lì il nome forte è Roberto Fico, che ha l’appoggio del Movimento e, potenzialmente, potrebbe favorire un rientro di equilibri anche altrove.
È previsto a breve un nuovo incontro tra Schlein ed Enzo De Luca. Obiettivo: trovare una quadra su tempi, modi e leadership. Un’intesa su Fico potrebbe spingere il governatore uscente a fare un passo indietro, ma al Nazareno c’è consapevolezza che “non sarà una passeggiata”.
Election day: la soluzione razionale che nessuno vuole
Sul calendario del voto resta tutto in sospeso. La Toscana ha proposto il 12 ottobre, ma ogni regione può scegliere in autonomia. Sullo sfondo c’è l’ipotesi di un election day nazionale per sei Regioni (Veneto, Toscana, Campania, Marche, Puglia e Liguria), ma l’idea sembra destinata a naufragare nel solito gioco delle convenienze.
Luca Zaia, che esce di scena ma resta attore, ha dichiarato: “Il fatto che sei regioni vadano lo stesso giorno a votare a me sembra di buon senso”. Ma tra chi teme l’effetto-traino delle europee, chi vuole raffreddare il voto e chi punta su dinamiche locali, un giorno comune pare più un sogno civico che un’opzione reale.
Il centrodestra frena, il centrosinistra s’illude
Alla fine, si tratta sempre di questo: chi comanda dove. Nel centrodestra, la Lega teme l’erosione interna da parte di FdI. Fratelli d’Italia, d’altra parte, punta ad allargare la sua egemonia nazionale a livello locale. Tajani, nel mezzo, tiene i pezzi uniti e cerca di evitare il muro contro muro.
Nel centrosinistra, la strategia è chiara ma fragile: riproporre i governatori uscenti e innestare un nome forte (Fico) dove l’uscente è troppo ingombrante. È un tentativo di equilibrio, ma senza una reale intesa con il M5s, la partita resta a rischio.
La mappa del potere è ancora tutta da scrivere
Siamo solo all’inizio. Le Regionali 2025 non saranno una fotocopia delle scorse, perché il contesto è radicalmente cambiato: l’effetto Meloni, il ritrarsi del grillismo, le nuove leadership in cerca di legittimazione.
Nel Veneto si deciderà la linea del centrodestra, ma Toscana e Campania saranno il banco di prova per capire se il centrosinistra riesce davvero a “tessere il campo largo” o se resterà una suggestione mediatica.
E il rischio più grande, per tutti, è che a decidere non siano le strategie ma le fratture. Perché mentre i leader si incontrano nei palazzi, il Paese ha già iniziato a votare. Con la testa. E forse anche col cuore.