Elezioni europee, polemiche sui leader candidati all'Europarlamento: chi ha ragione?

- di: Redazione
 
Il parossismo che sta alimentando la vicenda della candidatura dei leader di partito per le europee di giugno cresce con il passare delle ore, tracimando in una resa dei conti soprattutto nel Pd, dopo l'annuncio della discesa in campo di Elly Schlein, ma soprattutto per avere deciso che il suo nome campeggi insieme al simbolo.
Una scelta che, dentro il Partito democratico, è stata accolta con grande scetticismo, tanto per restare sul vago, perché, hanno detto alcuni dei maggiorenti, decisioni del genere non devono uscire dal cilindro, all'improvviso, come il bianco coniglietto tirato su per le orecchie dal prestigiatore. Dovrebbero essere, invece, comunicate per tempo, per evitare un deleterio effetto sorpresa, per come si sta dimostrando in queste ore, dove la sortita della segretaria è stata vista non come una scelta adottata per spirito di servizio, ma presa per marcare una leadership che comincia a scricchiolare visibilmente.

Elezioni europee, polemiche sui leader candidati all'Europarlamento: chi ha ragione?

Non perché sia una cosa rivoluzionaria, ma per il semplice motivo che puoi anche decidere di candidarti come capolista in alcune circoscrizioni, ma metterci il nome proprio no, perché, dicono oggi i contestatori di questa decisione, è lontanissimo dalla tradizione del partito. Alla fine, davanti a quella che stava assumendo i contorni di una rivolta, con esiti realmente, inimmaginabili, Schlein ha fatto un passo indietro, annunciando, in una diretta streaming, che il suo nome non ci sarà sul simbolo, dove invece sarà presente la sigla Pse, per confermare l'appartenenza del Pd alla famiglia del Partito socialista europeo.

''È stato proposto di inserire il mio nome nel logo, si è aperta una bella discussione, ringrazio chi ha fatto questa proposta, ma penso che il contributo lo possa dare correndo accanto a loro, in questa lista. Una proposta più divisiva che rafforzativa e non ne abbiamo bisogno'', ha detto e forse le cose non sono andate esattamente così. Comunque la segretario del Pd ha detto che si deve assumere la responsabilità. Ma, ha aggiunto, ''rimarrò qui in Italia per confrontarmi giorno per giorno con Meloni. Voglio dare una mano anch’io. E sarò candidata per portare il più in alto possibile il Pd. Noi unico argine all’avanzata delle destre. Darò una mano a eleggere il maggior numero possibile di candidati. Siamo ad un bivio: c’è un risveglio per una rinascita dell’Europa sull’onda del Pnrr. Avremo come avversari la destra ma anche l’astensionismo''.

Quindi è evidente che, poche ore dopo essere stata eletta, Elly Schlein si dimetterà, vista l'evidente impossibilità di essere una e trina: parlamentare italiana ed europea, ma anche segretaria del maggiore partito di opposizione.
Lei, come d'altra parte faranno anche Antonio Tajani e forse (ancora la scelta non è stata ufficialmente fatta) Giorgia Meloni, cerca di capitalizzare al massimo il prestigio personale per fare da traino alle liste e, quindi, al partito, in un sistema elettorale (proporzionale) che non ammette errori strategici.
Perché quel nome accanto al simboli vale parecchio, in termini di percentuale di voti in più, ma rischia di personalizzare la lotta politica, che dovrebbe essere alimentata dalle idee e non dal profilo dei leader. E poi, dicono i critici dei capi di partito in lizza, dimettersi dopo essere stati eletti è un'offesa a chi, elettore, ha votato qualcuno che, dopo poche ore, dovrà cedere il passo ad altri.

Per scelta, in campo non scenderanno Matteo Salvini e Giuseppe Conte, con il primo probabilmente condizionato dal fatto che, secondo (quasi) tutti i sondaggi, la Lega dovrebbe accusare un taglio durissimo della pattuglia a Bruxelles e di questo il segretario rischia di doverne rendere conto. E lo farebbe molto di più se la ''scoppola'' arrivasse nonostante il suo nome accanto al simbolo. Una circostanza che farebbe il paio con i mal di pancia dei molti che, dentro la Lega, non la pensano come lui e non accettano alcune candidature che, se ufficializzate (come quella data per sicura del generale Vannacci), sono considerare a dir poco divisive.

In questo clima un'ultima considerazione la merita la scelta di Forza Italia di proporsi agli elettori facendo campeggiare, nel simbolo, il nome di Silvio Berlusconi, nella certezza che, anche se non più su questa terra, guiderà le sue truppe alla vittoria. Ma forse nemmeno Berlusconi, uomo concreto semmai ce n'è stato uno, avrebbe gradito un omaggio postumo come questo.
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