Elezioni 2022 - Salvini come la fenice vuole rinascere dalle proprie ceneri
- di: Diego Minuti
Cronache fanta-economiche. Un manager, che per convenzione chiameremo Matteo Salvini, amministrato delegato di una società per azioni, che potrebbe avere come denominazione ''Lega'', si presenta all'assemblea degli azioni per resocontare l'esercizio quadriennale 2019-2022. Usando, come gli piace fare, delle slide, illustra i risultati, ammettendo che, dati alla mano, gli utili sono stati molti inferiori rispetto alle previsioni formulate appena qualche giorno prima. Guardando ai numeri, Salvini ammette che, rispetto al bilancio 2019, la Lega ha perso molto in termini di fatturato, passando da 34 milioni a 9 milioni scarsi, molto scarsi. Davanti agli azionisti, tutti collegati da remoto, Salvini dice che la colpa è degli altri, che lui resterà al suo posto. Che, anzi, dopo essere andato a dormire arrabbiato per avere letto il bilancio, ora è pronto a riprendere a lavorare per il bene supremo della società. Ma gli azionisti da lui si aspettavano ben altro, almeno una presa di responsabilità rispetto ad una condizione deficitaria, frutto di scelte azzardate che possono essere attribuite a lui ed a lui soltanto.
Dopo il negativo risultati delle elezioni 2022, Salvini pianifica il suo rilancio
Chiediamo scusa per avere adattato ad uno scenario finanziario di pura fantasia quanto sta realmente accadendo alla Lega, ma mai come in questo caso il paragone ci è sembrato fondato perché, mettendoci nei panni dei simpatizzanti del movimento, non riusciamo proprio a capire come possano accettare da lui delle ''non spiegazioni'', che si fondano su un presupposto eretto a dogma: Salvini non sbaglia mai e se lo fa non è per colpa sua, ma di altri.
Matteo Salvini, nella prima conferenza stampa dopo la sua personalissima Waterloo, ha trattato in modo tangenziale l'accaduto, ammettendo l'arretramento in termini di voti, ma vantando i cento parlamentari che sono tali per numero solo in virtù di una legge elettorale demenziale che premia anche chi, invece, è uscito duramente bastonato dalla consultazione.
Quindi, per il Capitano, quanto accaduto è frutto di convergenze astrali avverse - come il fatto di avere partecipato a due degli ultimi tre governi - mentre altri (Fratelli d'Italia), restando all'opposizione, hanno fatto il pieno di consensi.
Una spiegazione che rimanda ad un malvezzo tutto italico, che sembra impedire di ammettere lo sbaglio, soprattutto quando è conseguenza di atti e decisioni di cui oggi forse ci si vergogna.
Ma lui non desiste, dicendo, a chi sottovoce inizialmente e poi sempre con sempre maggiori decibel gli sta chiedendo di farsi da parte, che il suo mandato di segretario è in mano ai leghisti. Come a dire: me ne vado se me lo dicono loro. Evidentemente le dimissioni non sono contemplate del ''Codice Salvini'', secondo il quale - parafrasando un concetto caro agli avvocati - il passare del tempo è il migliore amico di chi ha colpe, perché allenta la rabbia.
Ecco qui il mio mandato, ha detto, ma a decidere la mia sorte non sono i critici, ma il popolo leghista. Il quale, però, avrebbe voce solo in un'occasione congressuale di cui nessuno parla, a cominciare da chi la dovrebbe convocare.
Per Salvini, evidentemente, avere mandato al macero milioni e milioni di voti non giustifica un suo passo indietro; evidentemente avere perso un consenso che, in alcune ampie porzioni del Paese, era addirittura plebiscitario è un inciampo della Storia; evidentemente, dopo averlo candidato, non avere garantito l'elezione a Umberto Bossi (che qualcosa per la Lega dovrebbe ancora significare) è stato un piccolo incidente di percorso; evidentemente ridursi a pietire un ministero e solo quello, per dimostrare di essere l'ultimo difensore dei sacri confini è un momento di strategia; evidentemente tutto questo, lui ritiene di non avere nulla da rimproverarsi se non essere stato al governo senza che ne fosse convinto, quasi a sua insaputa.
Per evitare di essere fraintesi, riteniamo la nascita della Lega e il suo affermarsi un momento importantissimo per la Repubblica perché la sua presenza nel panorama politico ha portato all'attenzione nazionale temi delicati e cruciali quali l'autonomia, di cui tanto si discuterà anche in futuro.
Che poi il pensiero politico di Gianfranco Miglio si sia, negli anni, annacquato, nulla toglie alla portata innovatrice del messaggio della Lega che, come tutti i partiti, ha poi ceduto davanti alla seduzione del potere, da cui nessuno riesce a restare lontano. Ma oggi il discorso è diverso perché, come insegna l'apostolo Pietro, si può anche rinnegare per paura o convenienza un uomo che si idolatrava, ma, nel suo innamoramento di Putin, Salvini ha forse dimenticato che lo ''zar'' tutto può essere meno un esempio e una ispirazione per i duri e puti della Lega, quelli che - Bossi dixit - si sentivano eredi della Resistenza e non del Kgb.
Accettare la sconfitta, dopo averla ammessa, non è evidentemente da tutti, a cominciare da Matteo Salvini al quale, però, chiedere di prendere atto della disfatta è forse troppo, perché per lui - non potere tornare al suo ambito Viminale - significherebbe non potere indossare le amatissime felpe, che ha eletto a marchio.
Il politico, però, lo si giudica da quel che fa, non da quel che indossa.
Ma qualcuno riuscirà a farlo capire a Salvini, che arroccato nella sua Stalingrado, forse aspetta come un salvatore il generale inverno?