Previsioni ridimensionate, stimoli pubblici a traino e riforme tergiversate tengono il Paese in stallo.
La Germania affronta un 2025 di stagnazione, con la ripresa attesa soltanto dal 2026 e perlopiù sospinta da misure fiscali. La sensazione di “ex locomotiva” in folle attraversa l’intero dibattito economico: gli indicatori migliorano appena, mentre la fiducia delle imprese rimane cauta.
Germania: lo spettro della stagnazione nel 2025
Le stime aggiornate degli istituti economici convergono su una crescita quasi nulla nel 2025, con un rimbalzo più deciso solo dal 2026. I profili previsivi delineano un sentiero di recupero graduale, lontano dai ritmi pre-pandemici e fortemente condizionato dal contesto internazionale.
Stimoli fiscali: l’effetto pubblico della ripresa
La dinamica attesa per il biennio successivo poggia in larga parte su spesa pubblica aggiuntiva e interventi fiscali. Investimenti in infrastrutture e difesa, incentivi e misure di sostegno energetico sosterranno la domanda, ma non risolvono il nodo della competitività. Il rischio è di alimentare crescita “a scadenza”, senza un corrispondente aumento stabile della capacità produttiva privata.
Minacce esterne e struttura industriale in affanno
La debolezza dell’industria manifatturiera resta il principale freno: il valore aggiunto è ancora sotto i livelli del 2019 e l’attuale sottoutilizzo degli impianti non indica margini automatici di recupero, ma segnala una contrazione strutturale. Le imprese confidano più nella spinta governativa che in un’accelerazione autonoma del mercato.
Al quadro interno si sommano i dazi statunitensi e l’incertezza dei mercati, fattori che comprimono le esportazioni e irrigidiscono le condizioni finanziarie. L’impatto sui settori esposti alla domanda globale è tangibile, con specifici comparti – automotive, macchinari, chimica – chiamati a ripensare catene del valore e localizzazioni.
Mercato del lavoro e consumi: resilienza senza slancio
Il tasso di disoccupazione è previsto su livelli moderati ma con variazioni contenute. I consumi delle famiglie mostrano una resilienza priva di scatto: salari reali in recupero solo parziale e risparmio precauzionale elevato raffreddano la spesa, mentre l’orientamento verso beni durevoli resta prudente.
Investimenti privati in frenata, pubblico in spinta
Gli investimenti privati risentono di costi energetici, tassi elevati e incertezza regolatoria. A compensare è il settore pubblico, atteso in aumento a due cifre in alcune voci. Ma senza un miglioramento dell’attrattività del sistema – tempi autorizzativi, digitalizzazione della PA, certezza del diritto – la propensione a investire rischia di restare bassa.
Il nodo energia e la competitività di lungo periodo
La transizione energetica richiede un equilibrio tra sicurezza dell’approvvigionamento e costo dell’energia per l’industria. Un sentiero di capex prevedibile, reti più robuste e procedure snelle può ridurre il differenziale di costo con i competitor e frenare delocalizzazioni e perdita di capacità.
Riforme per una vera crescita, oltre la congiuntura
Gli economisti convergono su un’agenda a impatto strutturale: meno burocrazia, più digitale, politiche del lavoro orientate all’inclusione attiva, sostegno all’innovazione e al trasferimento tecnologico. In assenza di questi passi, gli stimoli fiscali rischiano di trasformarsi in palliativi costosi.
“Se la politica economica resterà immobile, rischiamo anni ulteriori di paralisi e un’erosione della competitività come sede d’impresa”, ha avvertito Timo Wollmershäuser (ifo), sintetizzando la preoccupazione che attraversa il mondo produttivo.
Politica in cerca di rotta
Il dibattito tra partiti evidenzia divergenze su tempi e intensità delle riforme. Le promesse di un “autunno delle riforme” dovranno tradursi in atti concreti su fisco, lavoro ed energia per evitare che il 2026-2027 rimanga un semplice rimbalzo sostenuto dal bilancio pubblico. Coraggio decisionale e coerenza attuativa sono le due condizioni essenziali per riaccendere il motore tedesco.