L’Economia italiana della Bellezza vale circa 500 miliardi, il 26% del Pil

- di: Barbara Bizzarri
 

Bellezza, cosa non si fa per raggiungerla, conquistarla e mantenerla: tanto per cominciare, si spendono un sacco di soldi. Lo studio realizzato dall’Ufficio Studi di Banca Ifis nell’ambito di Kaleidos, il Social Impact Lab della Banca, sottolinea che, nel 2022, il valore dell’Economia italiana della Bellezza ha sfiorato i 500 miliardi di euro.

L’Economia italiana della Bellezza vale circa 500 miliardi, il 26% del Pil

Il Market Watch “Economia della Bellezza 2023” è stato presentato giovedì 28 settembre al Museo Fortuny di Venezia, in occasione di un evento pubblico che ha dato il via alle celebrazioni per i 40 anni dalla fondazione di Banca Ifis: lo studio, inoltre, è stato raccolto in un volume che raccoglie le testimonianze di undici protagonisti dell’Economia della Bellezza: Gian Maria Tosatti, Giovanni Bonotto, Giulio Cappellini, Brunello Cucinelli, Antonio De Matteis, Barbara Fornasetti, Gian Luca Gessi, Silvia Grassi Damiani, Alessandro Illiprandi, Alberto Masotti e Michele Bugliesi.

Secondo quanto elaborato nel Market Watch, il Pil italiano si regge anche sulla Bellezza, tanto che, a fine 2022, il contributo di questo particolare comparto economico al Prodotto Interno Lordo nazionale si attestava al 26,1%, confermando l’eccezionale capacità di traino del sistema produttivo nazionale. L’Economia della Bellezza ha contribuito in modo importante alla ripresa dell’economia italiana dopo il biennio pandemico: nel 2022, ha raggiunto quota 499 miliardi di euro, crescendo del +16% rispetto ai 431 miliardi di euro del 2021.

Particolarmente interessante è il fatto che la crescita del Pil prodotto dall’Economia della Bellezza risulta positivo anche nel confronto con il 2019, ovvero l’ultimo anno prima del Covid-19. Nel periodo, questo è cresciuto del +8%, certificando una piena ripresa dalla crisi pandemica. Lo sviluppo è stato intenso su tutti i comparti: turismo culturale e paesaggistico e imprese sia design-driven, quelle guidate da una forte componente di design, sia purpose-driven, ovvero le imprese guidate da uno scopo sociale. La convergenza tra il «bello e ben fatto» e il «buon lavoro» sembra sempre più esprimere un motore per l’intera economia italiana.

La crescita del valore prodotto rispetto al 2019 (+37 miliardi di euro) è stata generata per il 47% dalle imprese purpose-driven, per il 29% dal turismo culturale e naturalistico e per il 24% dalle imprese design-driven. A livello di settori, sono 8 quelli che hanno contribuito alla crescita del Pil della Bellezza rispetto al 2019: Agroalimentare (13 miliardi di euro) e Turismo (11 miliardi di euro) sono quelli che hanno registrato l’aumento maggiore, ma bene hanno fatto anche Tecnologia, Cosmetica, Sistema Casa, Ambiente, Orologeria e Gioielleria e Automotive, grazie al forte sviluppo dell’approccio purpose-driven.

Per l’edizione 2023 del Market Watch “Economia della Bellezza”, l’Ufficio Studi di Banca Ifis ha scelto di dedicare un focus particolare a quanto l’eccellenza della manifattura Made in Italy tragga origine dal lavoro dei Maestri d’Arte. La principale evidenza è che il “saper fare” artigiano contribuisce ancora al 54% del fatturato della manifattura italiana. In quasi 9 casi su 10, le imprese della manifattura considerano l’artigianalità non sostituibile da macchinari. In un business sempre più globale, in cui i mercati internazionali richiedono un posizionamento differenziante, rappresentare la qualità e l’unicità del prodotto italiano è una delle sfide alle quali è chiamata la manifattura del nostro Paese.

Secondo le rilevanze del Market Watch, per le imprese manifatturiere italiane il valore aggiunto del lavoro artigianale ricopre un ruolo rilevante nella produzione, sia in fase di progettazione sia di realizzazione. Per il 53% delle aziende intervistate, l’artigianalità non rappresenta una semplice ricerca del lusso, ma uno strumento concreto per dar forma alle idee, da mettere in campo nella fase di prototipazione.

In tal senso, il saper fare viene identificato da 8 imprese su 10 come fattore distintivo di competitività sul mercato poiché consente di rispondere efficacemente ai nuovi trend e alle nuove mode, come indicato da ben il 91% degli imprenditori della manifattura. In quest’ottica, gli artigiani si configurano come figure capaci di dare unicità al prodotto, integrando l’interpretazione in chiave contemporanea con l’attribuzione di un valore nel segno della tradizione, dell’innovazione e della sostenibilità. Questa modalità che deriva dall’ibridazione tra artigianalità e manifattura rappresenta il vero e proprio modello italiano di produzione del Made in Italy.

Al contempo, però, il mestiere dell’artigiano risente oggi di un sistema in rapida evoluzione dal punto di vista demografico, economico e sociale. Il calo delle imprese artigiane (-32% di operatori attivi dal 2000, concentrando l’attenzione su quelle del manifatturiero) parla della complessità nel trovare chiavi di lettura innovative per crescere e coinvolgere i giovani.

Lo studio 2023 ha analizzato anche le difficoltà incontrate dalle imprese artigiane che lavorano con l’industria manifatturiera, penalizzate da una rilevante riduzione del loro numero e un progressivo invecchiamento degli artigiani stessi. Negli ultimi due anni molte imprese artigiane (il 41%) si sono trovate ad affrontare un passaggio generazionale, spesso legato proprio alla trasmissione dell’attività. Le più comuni strategie per garantire continuità alle imprese sono il mantenimento della tradizione familiare e la formazione diretta di nuovo personale.

Preservare la capacità dei Maestri d’Arte di esprimere la cultura e l’identità dei territori e di aiutare le imprese manifatturiere a “dare forma” alle idee traducendole in un prodotto è fondamentale: gli artigiani chiedono, però, anche di modificare gli attuali programmi scolastici, attraverso il potenziamento di percorsi di studio che siano capaci di mostrare ai giovani la creatività connessa con i lavori artigiani e di accendere così la loro immaginazione. In parallelo, auspicano anche l’introduzione di incentivi fiscali per chi intraprende un’attività in questo settore. D’altra parte, il 93% delle imprese della manifattura conferma il trend di internalizzazione già in atto ed esprime l’intenzione di portare entro il perimetro della propria azienda le competenze artigiane. La strategia più adottata per portare a compimento questa internalizzazione è l’affiancamento con chi è già esperto del mestiere (indicato dall’81% delle imprese) mentre ci si avvale in misura decisamente minore di corsi di formazione più teorici, di cui usufruisce soltanto il 12% delle imprese.

Ernesto Furstenberg Fassio (nella foto), Presidente di Banca IFIS, ha dichiarato: "In Banca Ifis abbiamo un progetto che promuove fortemente la crescita delle Pmi, motore di sviluppo dell'economia del Veneto, che abbiamo voluto chiamare economia della bellezza, proprio per mettere in luce il valore del patrimonio artistico dell'insieme di arte, architettura, imprese, artigianato e design industriale. In altre parole, quello che chiamiamo Made in Italy e' al centro della nostra banca".

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