Curiosando nel recente passato, era circa giugno del 2014 quando la celebre testata New York Times pubblicava un dossier sulle pochissime donne ai vertici delle grandi aziende statunitensi e delle differenze retributive rispetto ai colleghi uomini, riportando, nello specifico, come dei 200 CEO più pagati in USA soltanto 11 fossero allora delle donne. Il dossier, fu pubblicato casualmente in un momento in cui proprio il New York Times era sospettato da taluni di incorrere nello stesso pregiudizio evidenziato nel dossier; questo perchè in un pungente articolo del New Yorker, era apparsa l’ipotesi che la prima direttrice donna del NYT, tale Jill Ellen Abramson, fosse stata liquidata dopo aver chiesto che il suo stipendio fosse adeguato a quello dei suoi predecessori (uomini).
Jill Ellen Abramson, tanto per capirne lo spessore, è laurata ad Harward, è giornalista e saggista statunitense, nonché prima donna a dirigere, dal settembre 2011 a maggio 2014 il New York Times nei 160 anni di storia del giornale. E’ entrata a far parte del New York Times nel 1997. In precedenza ha lavorato per Time (1973-1976), The American Lawyer (1977-1986) e The Wall Street Journal (1988-1997). Nel 2012 era stata classificata al quinto posto nella lista di Forbes delle donne più potenti.
Il NYT ovviamente smentì categoricamente la velata accusa, mentre la Abramson da marzo 2016 è editorialista politica per il Guardian US. La polemica, vera o falsa che fu, suggerisce ancora, a distanza di cinque anni, le stesse domande importanti. Le donne hanno le stesse opportunità di carriera degli uomini? Le donne sono pagate meno dei loro colleghi uomini? Le donne che si fanno valere, a differenza degli uomini che mettono in atto il loro cipiglio di leader sono considerate invece più facilmente elementi di disturbo, destablizzanti e possibilmente da eliminare? A che punto siamo oggi, nel 2019, nella nostra UE in questo ambito?
In occasione della Giornata internazionale della donna, il 7 marzo scorso, la Commissione Europea ha pubblicato la relazione 2019 sulla parità tra donne e uomini nell’UE. La buona notizia è che l’Europa sta compiendo progressi ma dobbiamo accelerare il cambiamento ancora lento.
La relazione mostra alcuni progressi in materia di parità di genere, ma le donne continuano a subire disuguaglianze in molti settori: il tasso di occupazione femminile nell’UE ha raggiunto il picco storico del 66,4% nel 2017, ma la situazione varia da uno Stato membro all’altro. L’anno scorso otto Stati membri (Austria, Repubblica ceca, Germania, Estonia, Irlanda, Italia, Polonia e Slovacchia) hanno ricevuto raccomandazioni nell’ambito del semestre europeo per migliorare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro; le donne sono più esposte al rischio di povertà, con salari inferiori in media del 16 % rispetto a quelli degli uomini. Ciò si traduce nel divario pensionistico, che nel 2017 era del 35,7 %. In alcuni paesi oltre il 10 % delle donne anziane non può permettersi l’assistenza sanitaria di cui ha bisogno; le donne rimangono largamente sottorappresentate nei parlamenti e negli organismi governativi. Solo 6 dei 28 parlamenti nazionali nell’UE sono guidati da donne e sette parlamentari su dieci nei parlamenti nazionali dell’UE sono uomini. Sebbene l’attuale livello del 30,5 % di donne con incarichi ministeriali sia il più alto da quando i dati sono stati disponibili per la prima volta per tutti gli Stati membri dell’UE nel 2004, vi sono ancora elementi che indicano che le donne tendono a ricevere portafogli ritenuti meno prioritari dal punto di vista politico; il fenomeno del “soffitto di cristallo” rimane una realtà nel mondo imprenditoriale, con solo il 6,3 % delle posizioni di amministratore delegato nelle principali società quotate dell’UE ricoperto da donne.
La parità tra donne e uomini è un valore fondamentale dell’Unione europea sancito nel trattato di Roma che conteneva una disposizione sulla parità di retribuzione.
L’attuale lavoro della Commissione sulle politiche a favore della parità di genere si basa sull’impegno strategico per la parità di genere 2016-2019, incentrato su cinque settori prioritari: aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e pari indipendenza economica per donne e uomini; riduzione del divario di genere in materia di retribuzioni, salari e pensioni e, di conseguenza, lotta contro la povertà delle donne; promozione della parità tra donne e uomini nel processo decisionale; lotta contro la violenza di genere e protezione e sostegno alle vittime; promozione della parità di genere e dei diritti delle donne in tutto il mondo.
Quello che nell’insieme si rileva è dunque un cammino ancora lungo ma possibile, senza dimenticare che esistono tuttavia luoghi del mondo in cui, non dimentichiamolo mai, le persone, e le donne in particolare, sono limitate nella loro libertà individuale come il triste caso della coraggiosa iraniana Nasrin Sotoudeh, avvocato per i Diritti Umani, condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate per dissentire con il suo paese sulle limitazioni imposte proprio alla libertà individuale, dal regime.