Dogman

- di: Roberta Nardi
 
E' uno dei casi di cronaca nera più efferati e cruenti. Accadeva a Roma, alla Magliana, 29 anni fa quando Pietro De Negri, detto “er canaro”, per via del suo mestiere di toelettatore di cani, commise violenze indicibili sotto effetto di cocaina sul piccolo criminale Giancarlo Ricci. Ispirandosi a questa vicenda per indagare sui dilemmi umani, la ‘cattiveria’, il bene e il male, Matteo Garrone ha realizzato il suo nuovo film, Dogman.
Come ha dichiarato lui stesso “Dogman è un film che si ispira liberamente al citato fatto di cronaca nera accaduto trent’anni fa, ma che non vuole in alcun modo ricostruire i fatti come si dice che siano avvenuti”.
In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Sofia e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino, un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato.
Garrone ha iniziato a lavorare alla sceneggiatura dodici anni fa: nel corso del tempo l’ha ripresa in mano tante volte, cercando di adattarla ai suoi cambiamenti. Finalmente, un anno fa, grazie all’incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte e con la sua umanità, Garrone ha compreso dentro di sé come affrontare una materia così cupa e violenta, e che tipo di personaggio voleva raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo, che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente.
Il prossimo progetto annunciato sarà Pinocchio: nel cast, tra gli altri, si vocifera la presenza di Toni Servillo.
E’ un immenso piacere trovarmi, oggi, davanti al regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano Matteo Garrone che, dopo Gomorra e Reality (entrambi vincitori del Grand Prix) e Il Racconto dei Racconti, ha presentato a maggio la sua ultima opera, Dogman, che ha ottenuto al Festival di Cannes 2018 la Palma d’Oro assegnata al protagonista Marcello Fonte come miglior attore, mentre a Taormina si è aggiudicato ben 8 Nastri d’Argento come miglior film, migliore regia, due migliori attori protagonisti, produzione, scenografia, sonoro, montaggio e casting director. 

Quanto la conoscenza tecnica del mezzo comunicativo, nel suo caso la macchina da presa, agevola la narrazione fiabesca tipica del suo stile?
Il fatto di essere io in macchina è un modo per vivere emotivamente insieme agli attori la scena ed essere poi il primo spettatore del film. Con la macchina da presa cerco di cogliere dei momenti unici, noto dei dettagli (come, ad esempio, il movimento di una mano) e mi focalizzo su di essi. La conoscenza tecnica è importante ma, come diceva Orson Welles, la tecnica si può imparare…Come usarla no!

Ci può spiegare la scelta di una color correction così “di rilievo” in Dogman? Può derivare dalla sua passione per la pittura?
La passione per la pittura emerge in modo naturale perché è frutto della mia formazione. Quanto alla scelta della color, in ogni film sono presenti ombre, atmosfere ed io ho cercato di trovare i colori e la luce più giusta per raccontare “il viaggio” del protagonista; in Dogman la prima parte è più colorata con una luce solare mentre, nella seconda parte, i colori sono meno vivaci e più cupi.

Non si può non parlare dell’attore Marcello Fonte, vincitore a Cannes del premio come miglior attore. Come mai la scelta di affidare proprio a lui un ruolo così preminente in Dogman?
I motivi che mi hanno spinto a sceglierlo sono la sua fisicità perfetta, il fatto che possiede una profonda umanità ed una grande dolcezza. Ha, poi, degli occhi espressivi ed un volto “antico” che sembra legato ad un’Italia che va scomparendo. L’ho immaginato, insomma, come una sorta di moderno Buster Keaton.

Si trova meglio a lavorare con grandi nomi internazionali come gli attori utilizzati ne “Il racconto dei racconti” oppure con un cast come quello di Dogman?
Per me non cambia. Il mio metodo rimane sempre lo stesso. Chiedo sempre agli attori di portare nel personaggio qualcosa del proprio vissuto. Da loro mi aspetto una grande generosità ed un forte coinvolgimento emotivo. Per fortuna, fino ad oggi, ho sempre lavorato con attori con i quali mi sono trovato molto bene. Ciò forse anche perché gli attori, quando scelgono di lavorare con me, significa che hanno amato i miei film precedenti.

Sappiamo che in cantiere c’è la realizzazione di Pinocchio. Cosa l’ha spinta ad intraprendere una direzione del genere?
La ragione è che credo ci sia una dimensione fiabesca in tutti i miei lavori (persino in Gomorra) e poi…Beh…Il primo storyboard di “Pinocchio” l’ho disegnato quando avevo appena 6 anni.
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