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Dazi, la Cina accetta l’incontro con USA ma alza la voce: “Non cederemo ai ricatti americani”

- di: Bruno Coletta
 
Dazi, la Cina accetta l’incontro con USA ma alza la voce: “Non cederemo ai ricatti americani”

Pechino risponde agli appelli dell’industria Usa ma avverte: “Nessun compromesso sui nostri principi”. A Ginevra si annuncia un confronto duro.

 Toni duri prima dell’incontro: Pechino detta le sue condizioni
Pechino va al tavolo negoziale, ma non a mani giunte. A pochi giorni dal primo faccia a faccia ufficiale sui dazi tra Cina e Stati Uniti — in programma a Ginevra dal 9 al 12 maggio — le autorità cinesi hanno lanciato un messaggio inequivocabile: “Non sacrificheremo la nostra posizione di principio, difenderemo la giustizia”. Il monito arriva direttamente dal ministero del Commercio, che ha spiegato come il via libera ai colloqui sia arrivato “in risposta agli appelli dell’industria e dei consumatori americani”, non certo per iniziativa unilaterale.
A rappresentare Pechino ci sarà il vicepremier He Lifeng (a destra nella foto), uomo chiave della politica economica cinese e considerato molto vicino a Xi Jinping. A riceverlo, il segretario al Tesoro americano Scott Bessent e il rappresentante per il Commercio Jamieson Grier, entrambi inviati della Casa Bianca per tentare di riaprire un canale con Pechino dopo l’impennata protezionista decisa da Donald Trump a inizio aprile.

La Cina arriva a Ginevra, ma non per farsi dettare le condizioni
I toni usati da Pechino non lasciano spazio a dubbi. “Se gli Stati Uniti vogliono risolvere la questione con i negoziati, devono affrontare il grave impatto negativo delle tariffe unilaterali su sé stessi e sul mondo”, ha dichiarato un portavoce del ministero del Commercio. Parole che segnano una netta linea rossa: la Cina non si presenterà con richieste, ma con pretese di pari dignità.
E proprio questa sarà la chiave dello scontro: gli Stati Uniti pretendono un “commercio equo” — come ha ripetuto domenica Scott Bessent a Fox News — mentre la Cina vuole “giustizia” e rispetto per la propria sovranità economica. Nessuno dei due fronti, almeno nelle dichiarazioni pre-incontro, sembra disposto a fare il primo passo indietro.

I dazi di Trump e l’effetto boomerang
Il confronto arriva dopo la nuova raffica di dazi imposta da Donald Trump: tariffe fino al 145% su semiconduttori, batterie e auto elettriche made in China. Una mossa che ha colpito duramente sia le esportazioni cinesi, sia le aziende americane che dipendono dalle forniture asiatiche. Da qui l’insolita pressione esercitata dagli stessi settori industriali Usa per avviare un dialogo con Pechino.
“Non possiamo permetterci un’escalation che rischia di paralizzare l’intera supply chain globale”, ha dichiarato il CEO di un’importante azienda tecnologica americana al Financial Times. Anche i consumatori hanno cominciato a far sentire la loro voce, preoccupati per l’aumento dei prezzi su beni di largo consumo e componenti elettronici.

He Lifeng, il volto duro della nuova Cina commerciale
Mandare He Lifeng a Ginevra è stata una scelta simbolica: considerato un falco nei rapporti con l’Occidente, il vicepremier è stato uno degli artefici della politica industriale “dual circulation”, che mira a rafforzare l’autonomia strategica cinese. Secondo fonti vicine al Partito, riportate dal South China Morning Post, He non ha alcuna intenzione di accettare compromessi “imposti” dagli Stati Uniti.
La linea è chiara: se Washington vuole una de-escalation, dovrà rinunciare alla logica del bastone. E se invece vorrà proseguire nella guerra commerciale, Pechino è pronta a rilanciare. Non ci saranno concessioni sotto minaccia”, ha sintetizzato il portavoce del ministero.

Nessun passo indietro, ma uno spiraglio resta
Nonostante la durezza del tono, la Cina lascia aperta una porta al dialogo. “Se c’è rispetto reciproco, possiamo discutere. Ma se l’intenzione è imporre, allora non ci sarà nessun progresso”, ha aggiunto un alto funzionario cinese citato dalla Xinhua.
Bessent, dal canto suo, prova a rassicurare: “Siamo lì per negoziare, ma vogliamo anche che gli scambi siano giusti e simmetrici”. Parole prudenti che contrastano con la postura muscolare della presidenza Trump, sempre più isolazionista e aggressiva.

Il grande gioco si sposta in Svizzera
Sarà la neutralità svizzera a fare da cornice a un confronto tanto atteso quanto potenzialmente esplosivo. Nessuno si aspetta un accordo immediato. Ma se almeno si riuscirà a fermare l’escalation, sarà già un risultato. Resta però una certezza: la Cina non accetterà di giocare da comprimaria. E in questo round, come ha dichiarato chiaramente Pechino, “nessuno detterà le condizioni senza pagarne il prezzo”.


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